Operaio morto in cava, una condanna

Sette mesi in appello al legale rappresentante della Aurisina Quarry. Confermata l’assoluzione del direttore dei lavori
Lasorte Trieste 22/11/11 - Aurusina, Duino Scavi, Operaio Morto
Lasorte Trieste 22/11/11 - Aurusina, Duino Scavi, Operaio Morto

Il mortale infortunio sul lavoro avvenuto nella cava Duino Scavi data in concessione alla “Aurisina Quarry srl”, nell’omonima località carsica nel novembre 2011 costato la vita all’operaio Renato Del Fabbro e il ferimento del collega Goran Subotic è tornato alla ribalta della cronaca giudiziaria con la sentenza della Corte d’appello. Corte che ha confermato un’assoluzione e ha sovvertito il verdetto riguardo il secondo imputato, condannandolo dopo la sua assoluzione in primo grado.

I giudici d’Appello hanno nuovamente assolto, per non avere commesso il fatto, Silvano Sambo, difeso dall’avvocato Giovanni Borgna del Foro di Trieste. Geologo libero professionista Sambo, nato a Gorizia nel 1939, all’epoca dei fatti rivestiva il ruolo di direttore dei lavori della cava di “Aurisina Quarry”.

È stato condannato invece in Appello a 7 mesi e 3 giorni Ervino Leghissa, uno dei due legali rappresentanti della società “Aurisina Quarry” - difeso dall’avvocato Paolo Pacileo del Foro di Trieste - che in primo grado era stato assolto. La sentenza di assoluzione, emessa in primo grado dal giudice per le indagini preliminari il 9 maggio 2014, era stata impugnata dal pubblico ministero Carlo Sciavicco, che aveva chiesto dieci mesi e venti giorni di reclusione.

Nella vicenda era stato coinvolto anche Ennio Leghissa, all'epoca dei fatti sorvegliante della cava di Aurisina, che all’inizio del processo aveva patteggiato dieci mesi e venti giorni. Ennio Leghissa era assistito dall'avvocato Geniale Caruso del Foro di Udine. Era stato proprio lui a disporre, per quella tragica mattinata d’autunno, la concomitanza di due lavori nel sito della cava, fattore che aveva poi innescato l’incidente. Da una parte aveva indicato a Del Fabbro e Subotic di provvedere nella parte a valle della cava per far ripartire un macchinario immobilizzato, dall’altra nella zona a monte dei due lavoratori aveva lui stesso provveduto con un altro mezzo meccanico a movimentare terra e massi che avrebbero dovuto concorre a formare una sorta di terrapieno in preparazione a ulteriori attività di estrazione.

Proprio uno dei massi, sfortunatamente, aveva oltrepassato la sorta di sicurezza prevista, colpendo in pieno e uccidendo Del Fabbro. Un frammento di roccia aveva invece centrato alla testa il suo collega, dipendente di un’altra azienda, lasciandolo ferito, per fortuna non gravemente.

La contemporaneità delle due attività, che come accertato dai giudici non avrebbe dovuto coesistere, era stata avviata «senza che la presenza di cartelli o disposizioni di carattere generale (questi sì nella corresponsabilità di Ervino Leghissa) potessero prevalere sugli ordini giornalieri e puntuali di Ennio Leghissa».

D’altra parte Giovanni Borgna, avvocato difensore di Silvano Sambo in merito alla sentenza, ha dichiarato “a caldo”: «Siamo soddisfatti che anche la Corte d’appello abbia riconfermato “pienamente” le ragioni del dottor Silvano Sambo, direttore della cava, che ha sempre mantenuto una condotta rispettosa delle norme per la sicurezza sul lavoro e per la sicurezza del cantiere».

La magistratura ha infatti stabilito che l’incarico di Sambo, pur implicando il compito di predisporre il Piano di sicurezza (il cosiddetto Dss, Documento di sicurezza e salute), non prevedeva la presenza quotidiana sul luogo di estrazione.

La sentenza ha stabilito, alla luce delle relative indagini, che «dal terrapieno dove ha sciaguratamente operato Ennio Leghissa non era prevista alcuna “discarica”, per tale intendendosi la volontaria precipitazione di materiale lapideo o terroso dall’alto verso il fondo della cava».

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