Pace chiama i soci privati «Gestiamo insieme il Verdi

«Qui a suo tempo venne Kaufmann, quando non era nessuno. Oggi per vederlo esibirsi bisogna andare a Londra, Parigi, New York. La mia ambizione è far passare per Trieste tanti futuri Kaufmann, i migliori artisti del futuro. Serve coraggio, certo, ma preferisco prendermi il rischio di ospitare una voce un po’ verde, piuttosto che quella di uno che non ha più niente da dare. Io, quando arrivai all’Opera de Paris, non avevo mai fatto prima il sovrintendente, avevo 34 anni e non ero nessuno. Come potrei non credere e investire nei giovani». Ci vuole fegato, in questi tempi di cinghie tirate, a fare il manager culturale in Italia. Stefano Pace, ieri, il fegato l’ha esibito due volte. Il neosovrintendente del Verdi ha anticipato il suo progetto di «rinnovamento» e conquista di nuove quote di pubblico («anzi di pubblici, sono più d’uno») attraverso un «ricambio generazionale» («di cui sono pronto ad assumermi la responsabilità, ma ci credo») davanti a un uditorio non giovanissimo per definizione. Ma che, altrettanto per definizione, è l’uditorio di riferimento del Teatro. Al Ridotto, dopo l’esordio con i dipendenti, era il giorno delle “presentazioni”, con tanto di brindisi, tra lo stesso successore di Orazi e i sostenitori privati della Fondazione lirica, insieme ai delegati delle istituzioni politiche e consolari cittadine. La crema reddituale, finanziaria, imprenditoriale e diplomatica di Trieste insomma, alla quale Pace, chiedendole «una grande mano», ha teso però a sua volta una mano, dal momento che ha caldeggiato la nascita di un’associazione che, in scia a quanto è già consuetudine a livello internazionale, riunisca proprio i sostenitori privati (che qui pesano per 650mila euro l’anno secondo i dati ufficiali 2011) dandone rappresentanza e “forza” in seno al Teatro. Passando, tra il detto e il non detto, per un aumento del “gettito” contributivo.
«Una delle primissime sorprese che ho avuto quando a Trieste - ha esordito il neosovrintendente - è stata costituita dal numero di soci affezionati, e dal fatto che essi non fossero riuniti in un’associazione come altrove, dove non divengono solo sostenitori ma anche ambasciatori del loro teatro. E un’altra sorpresa positivissima è stata per me l’attaccamento del nostro personale, che ringrazio, al Teatro stesso, visto il sacrificio fatto per consentirgli di sopravvivere prima e per rilanciarlo ora». «È difficile - ha aggiunto Pace - prendere in mano una fondazione lirica in Italia, è più facile a Trieste, non un ripiego bensì una prima scelta, di cui vado fiero, orgoglioso». Nei piani del nuovo “amministratore delegato” del Verdi - parafrasando Roberto Cosolini che della Fondazione è presidente e che l’aveva preceduto chiedendo ai sostenitori di contribuire a «dare un futuro alla prima istituzione culturale della città» - non si può prescindere dal «fare squadra». «E in questo - ha insistito Pace rivolgendosi al centinaio di uditori - vi chiederò un grande aiuto». Che passa appunto, in via reciproca, per «tutto l’appoggio possibile» del sovrintendente, affinché possa essere varata «rapidamente un’associazione dei soci sostenitori in grado di avere una rappresentanza anche all’interno del Consiglio di indirizzo, e che ne lavori in parallelo. Sarò sempre pronto ad ascoltare. Mi sento una persona “accessibile”. Vorrei che questi incontri, come quello di oggi con voi, non fossero isolati. Credo in un teatro non elitista. La musica è di tutti, come i servizi sanitari. È la medicina dell’anima». Da qui l’ambizione del neosovrintendente al «dinamismo», a «rinnovare i pubblici» puntando sulla linea verde: «È un lavoro a lungo termine, ci vogliono anni per un nuovo pubblico». Senza perdere, logico, quello vecchio. «Il lavoro del sovrintendente - ancora Pace - è un po’ come quello dell’equilibrista», perché c’è anche da «non scontentare il pubblico che già c’è». Ed ecco la promessa di ieri: «Non aspettatevi una programmazione rivoluzionaria, la lirica è per natura piuttosto tradizionalista». Per Pace il primo approccio è «ritornare ai fondamentali, con una programmazione di titoli abbastanza classica», «molto varia», fatta di «melodramma italiano e qualche passaggio europeo». Il prossimo cartellone, in un quadro economico che sta «migliorando» e per il quale «non sono preoccupato», sarà pronto entro fine maggio. I primi tre titoli già ci sono: «Il Don Giovanni diretto dal maestro Gelmetti», a ruota «il Werther di Massenet e L’elisir d’amore». Ah sì, «stiamo lavorando per far risuonare le note dell’operetta», a patto che sia di alta qualità, «e le mie esigenze di qualità sono piuttosto elevate».
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