Partigiani e lager, quella medaglia che si vuole far diventare d’oro

RONCHI DEI LEGIONARI. Attività partigiana e deportazione. È un binomio importante per la storia di Ronchi dei Legionari. Una lunga storia che, nel maggio del 1993, è approdata con la decisione dell’al...
RONCHI DEI LEGIONARI. Attività partigiana e deportazione. È un binomio importante per la storia di Ronchi dei Legionari. Una lunga storia che, nel maggio del 1993, è approdata con la decisione dell’allora governo di insignire il gonfalone della città con la medaglia d’argento al valor militare per attività partigiana. Anche se, a dir il vero, oggi c’è chi spinge perché si arrivi alla concessione della medaglia d’oro. Immediatamente dopo l’8 settembre del 1943 l’avvio della lotta di liberazione. Proprio a Ronchi dei Legionari si formò quella che sarà in assoluto la prima formazione partigiana in Italia, la brigata “Proletaria”, formata in larga parte da operai del cantiere navale, contadini, lavoratori. E sarà il 12 settembre il giorno in cui verrà ordinato alla Proletaria di trasferirsi in prima linea per aiutare lo schieramento sloveno che si apprestava a fronteggiare l’arrivo dei tedeschi.


Una lotta che coinvolse numerose famiglie. Nuclei come i Tomasin, che ebbero più caduti, cinque per la precisione, e, poi, i Candotto o i Fontanot, ma anche i Bevilacqua, Boscarol, Calligaris, Miniussi, tre per parte, nella Resistenza o i Tambarin, i Battistella, i Berini, Borina, Deiuri, Faragona, Fischanger, i Furlan, i Lenardon, Manià, Maturo, Moimas, Novati, Pahor, Serafin, Soranzio, Tonini, Trevisan, Vinci, Visintin, Zamar, Zampa, Zanolla e Zonta con due. Erminio Rusig e Vincenzo Vrech caddero ancora prima. Il primo, nel 1926, in conseguenza alle lesioni dopo lo scontro con una squadra fascista, il secondo, nel 1934, volontario in Spagna nella “Brigata Garibaldi”.


Negli anni 1931, 1935 e 1942 il tribunale speciale fascista condannò alcuni ronchesi a complessivi 120 anni di carcere e 39 di confino. Altri furono arrestati e detenuti in periodi più o meno lunghi, pur non subendo condanne. Sono undici, poi, le donne ronchesi elencate come cadute nella lotta di Liberazione, Eufemia Blason Brumat, Leda Bevilacqua Leda, Elsa Furlan, Angela Giulic, Anna Maria Maniassi Ghermi, Villanorma Micheluz, Edilia Moimas, Eva Gallo, Ida Serafin, Maria Turolo Candotto ed Ernesta Zuppel Bon. Furono 147 i ronchesi che caddero durante la guerra di Liberazione, ben più alto il numero di coloro che imbracciarono il fucile per “scacciare” le truppe nazifasciste. Ronchi dei Legionari, allora, aveva poco più di 8mila abitanti e furono 168 gli internati nei lager.


E poi i rastrellamenti. 24 maggio 1944: ore 5 del mattino. La città è scossa dall’arrivo di camion carichi di truppe tedesche assieme a repubblichini italiani che fanno parte della famigerata “Banda Colotti”, nota per la sua cruenta battaglia antipartigiana. I camion erano diretti a Vermegliano, in centro e nella zona della “Casette”. Ha inizio il rastrellamento. Tutte queste persone vengono radunate nei pressi del “Caffé Trieste” e, quindi, caricate su dei camion con destinazione carceri del Coroneo a Trieste. II 31 maggio 1944 la loro partenza per i lager nazisti. È il 30 aprile del 1967 quando, alla presenza di molti gonfaloni e di autorità provenienti da tutta la regione, viene inaugurato il monumento alla Resistenza, sul quale viene impressa una frase di Pietro Calamandrei. Un momento che, allora, fu “catturato” dall’obiettivo della telecamera in super 8 di Fulvio Paiaro, ex dipendente comunale e che ora rivive grazie al lavoro di restauro e di digitalizzazione messo in cantiere dal personale del Consorzio culturale. In esso si ripercorrono tutte le tappe di quella giornata, dal raduno degli invitati e delle tante delegazioni in piazzale Donatori di Sangue, la sfilata lungo le vie del centro cittadino, fino alla cerimonia che fu, tra le altre cose, la prima uscita ufficiale dell’allora sindaco Umberto Blasutti, ex partigiano, eletto il 5 febbraio dello stesso anno
.(lu. pe.)


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