Pescatori di Marina Nova rischiano lo sgombero

Per un anno hanno fatto spallucce. Non hanno voluto pensare che, l’ineluttabile, prima o poi sarebbe piombato sulle loro attività. E così, quando ieri si sono trovati davanti a un funzionario dell’Ufficio patrimonio del Comune, scortato, da prassi, da un agente della Polizia municipale, si sono spaventati. Hanno intuito che il rischio di essere prima o poi sgomberati è diventato ora dannatamente concreto. E così hanno deciso di dare battaglia, raccontando la loro storia. Sono i pescatori autonomi di Marina Nova, un quintetto di lavoratori che ogni giorno, alle 5, si prepara a sfidare il mare aperto per portare a casa la pagnotta. Hanno figli piccoli, due o tre a famiglia. Sanno che tutto dipende dalla loro abilità di raccogliere i frutti del golfo. Orate, branzini, seppie. Tutto quello che le loro reti, centinaia e centinaia per ogni tipologia di pesca, riescono a catturare.
Circa un anno fa l’amministrazione comunale ha inviato loro una lettera, per informarli dell’intenzione di rinunciare alla concessione demaniale e restituire gli spazi (acquei e terrestri, con i quattro casoni di proprietà) alla Regione. Per farlo, come prescritto dalle norme, è necessario restituire le aree libere da attrezzi e imbarcazioni. Pensando, almeno così si sono giustificati ieri, che vi potesse essere una sorta di “automatismo” nel subentro fra un ente e l’altro i più hanno lasciato nel cassetto la missiva. Col risultato che la pratica è andata avanti e ieri alle 10 l’ente ha proceduto con un ulteriore passo.
«Ci è stata chiesta la disponibilità ad andar via spontaneamente - spiega Andrea Frascogna, 33 anni, timoniere della Gemi -. Se avessi firmato quel foglio entro 15 giorni avrei dovuto sgomberare. Ma per andare dove? Sono qui dal 2000. È il mio mestiere, la mia famiglia vive di questo». Allo stesso modo la pensa il fratello minore Stanislao, a bordo dell’Oriana: «Solo per liberare i casoni ci vogliono giorni. Abbiamo tutti tonnellate di attrezzature». «Più di vent’anni fa - riferisce poi un altro pescatore, il 57enne Riccardo Pinzan, che ha dato alla sua barca il nome della moglie, Claudia - i casoni di Marina Nova vennero costruiti per ospitare chi era stato “sfrattato”, con la propria attività, da Portorosega per consentire il prolungamento della banchina e il potenziamento dello scalo. Poi, col tempo, sono arrivati i diportisti». E non danno alcun fastidio, la convivenza è pacifica. «Ma penso - aggiunge - che anche il nostro mestiere andrebbe tutelato. Alla mia età, chi mi piglia da un’altra parte?».
I pescatori sottolineano che a differenza di altre realtà, come Grado o Trieste, i servizi di cui dispongono sono carenti: «Non c’è nemmeno il rifornimento idrico, solo una pompa collegata a un pozzo ricavato con mezzi di fortuna da qualcuno...», spiegano. Nonostante ciò a Marina Nova si trovano bene, dichiarano di aver «sempre versato il canone a annuale da 600 euro» (fino però alla fatidica lettera del 2015) e non se ne vogliono assolutamente andare. Un paio di dichiarano disposti a recarsi con le famiglie sotto le finestre del municipio per protestare. Il loro pescato rifornisce grossisti e negozi.
L’amministrazione, per bocca dell’assessore ai Lavori pubblici Massimo Schiavo, premette di non avere intenzione di mandar via alcuno. «Figuriamoci se il Comune vuole sfrattare gente che lavora», dice. C’è tuttavia l’esigenza di riordinare gli spazi, perché l’utilizzo «non appare conforme ai dettami del regime concessorio». E poichè la concessione fa capo al Comune «questi è penalmente e civilmente responsabile di quanto avviene». Non potendo dunque più tollerare il persistere di situazioni «irregolari» si è visto costretto a intraprendere il passo della rinuncia alla concessione, con conseguente restituzione delle aree alla Regione. Che ne farà ciò che ritiene più opportuno. Ma si tratta dell’extrema ratio. Il Comune, che stando a Schiavo «ha avuto difficoltà anche a reperire taluni pescatori, non essendo residenti in città», vuole che questi si facciano avanti per discutere le varie problematiche, in modo da «avviare una sanatoria». Una cosa, però, va detta: in questa tribolata storia la mediazione tra le diverse istanze è parsa quanto meno deficitaria.
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