Resta in carcere a Trieste il presunto terrorista, la sua difesa: “Volevo far arrestare un pachistano infedele”
Usama Usama ha fornito la sua versione dei fatti parlando di “un grande malinteso”. La sua giustificazione è stata ritenuta tutt’altro che convincente dal giudice, alla luce dei gravi indizi raccolti dalla Procura

Resta in cella Usama Usama, il presunto terrorista islamico fermato a Trieste. C’è il pericolo concreto che possa fuggire e che reiteri le condotte orientate ad azioni terroristiche jihadiste. Sono questi i motivi che hanno spinto il gip Marco Casavecchia a convalidare il fermo eseguito il 5 settembre e a disporre la custodia cautelare in carcere per il 25enne pachistano.
In manette e col volto semi nascosto dietro un foglio di carta, per ripararsi dalle telecamere della stampa, Usama è entrato così nell'ufficio del gip, dove è rimasto per un'ora e un quarto.
Usama, durante l’interrogatorio di garanzia che si è svolto stamattina davanti al gip Marco Casavecchia assistito dai suoi difensori, gli avvocati Andrea Cavazzini ed Elisabetta Toso e alla presenza della procuratrice Patrizia Castaldini e della pm Cristina Bacer, magistrato della Dda che ha diretto le indagini dei carabinieri del Ros, ha tentato di convincere il giudice che si trattava di un “grande malinteso”.
“Volevo far arrestare un pachistano infedele che abita qui in Italia” è in estrema sintesi la giustificazione fornita, ritenuta però tutt’altro che convincente dal giudice, alla luce dei gravi indizi raccolti dalla Procura.
Nell’ordinanza che motiva la misura cautelare, il gip riconosce la sussistenza di gravi indizi in merito al reato di istigazione a delinquere e sua apologia e di addestramento ad attività di terrorismo anche internazionale.
Testimonianza ne sono i numerosi video condivisi su Tik Tok e altri social che inneggiano all’Isis e al jihad, con tanto di appelli a unirsi alla guerra santa online. Ma anche il tentativo di comprare in rete un’arma da fuoco (trattativa poi sfumata) e la visione di tutorial su come fabbricare una bomba artigianale. Mentre non ci sono elementi sufficienti, secondo il gip, per sostenere che Usama partecipasse a un’associazione terroristica transnazionale. Questo perché mancano, ad oggi, riscontri su relazioni e contatti effettivi con membri di organizzazioni terroristiche.
L’indagato, secondo la Procura antimafia e antiterrorismo di Trieste, avrebbe scaricato per mesi video di propaganda jihadista da piattaforme online e li avrebbe poi rilanciati usando diversi alias e account. Un lupo solitario radicalizzato in rete e in solitudine, slegato da moschee e centri islamici del territorio. I carabinieri del Ros lo monitoravano da mesi, ma l’indagine ha subìto un’accelerazione nelle ultime settimane.
Quando cioè Usama ha tentato la compravendita di un’arma, programmato un live su Tik Tok intitolato “martirio” (poi saltato) e condiviso tutorial sulla fabbricazione di esplosivi. Un crescendo interpretato dagli inquirenti come rischio concreto che dalla propaganda potesse passare all’azione. Da qui la decisione di emettere un fermo. I carabinieri del Ros hanno fatto irruzione la mattina del 5 settembre nell’appartamento di via Corridoni 4 in cui Usama era alloggiato insieme a tre connazionali.
Attualmente il pachistano, difeso dagli avvocati Andrea Cavazzini ed Elisabetta Toso, è detenuto al Coroneo.
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