Processionaria ferisce il cane Chiesti i danni a 3 condomini

Causa da 5mila euro per la padrona di un meticcio che ha perso un pezzo di lingua «Il parassita? Dal loro giardino». L’amministrazione si oppone. Si va alla mediazione
Di Piero Rauber
TOGA AVVOCATO AULA TRIBUNALE
TOGA AVVOCATO AULA TRIBUNALE

Brit è una graziosa femmina di meticcio, di taglia medio-piccola. Una sera come altre, A.V., il marito della sua padrona, le mette il giunzaglio al collo e l’accompagna giù, tra i palazzi di Chiarbola, per l’ultima pipì di giornata. A un certo punto lui s’accorge che la cagnolina non sta bene, che cerca di dissetarsi in una pozzanghera, la riporta a casa e lì A.V. e la moglie, E.S., si rendono conto che Brit ha la lingua gonfia e la bava alla bocca. Il responso veterinario che ne esce, dopo giorni e giorni di visite, terapie e medicazioni per far fronte alle ulcere della bocca e alle necrosi della lingua, è avvelenamento da processionaria, il parassita degli alberi i cui peli urticanti sono altamente pericolosi al contatto con le mucose, in particolare per gli animali. Brit, alla fine, perde un centimetro e più di lingua. Un altro po’ di necrosi non le avrebbe consentito più di nutrirsi e le sarebbe costato la vita. Ora la sua padrona, che è assistita dall’avvocato Fiorenza Abeatici, chiede il conto davanti al pulpito di un giudice al complesso condominiale di via Capodistria, al quale E.S. ritiene appartenga il terreno con i pini da cui è caduta la processionaria che è stata “assaggiata” dalla cagnolina, dal momento che A.V. l’ha notata sentirsi male nei paraggi e che successive ispezioni hanno accertato appunto la presenza di processionarie su quegli alberi: fanno cinquemila euro per i danni morali che la padrona stessa sostiene di aver patito, per la sofferenza e l’invalidità permanente di Brit e per le spese mediche e alimentari supplementari che E.S. dovrà sostenere per tutta la durata della vita del cane, proprio come conseguenza della menomazione.

Il “supercondominio” cui è ricondotta la pertinenza verde “incriminata”, che è costituito da tre palazzi di via Capodistria accomunati dalla stessa amministrazione stabili, la Tergeste, difesa dall’avvocato Gabriella Coslovich, si oppone però alla causa intentata dalla padrona di Brit e replica da un lato come non possa esservi certezza che il parassita che ha avvelenato il cane sia venuto da un albero che ricade in quella pertinenza, e dall’altro, riferendosi a della giurisprudenza derivante dalla Cassazione, che un animale dev’essere vigilato e gli si deve impedire di ingurgitare quanto può trovare per la strada.

L’ultima udienza davanti al giudice di pace Carlo Ferrero (andata in scena l’altro giorno ed “erede” in sostanza di una precedente causa che è stata superata poiché era stata promossa contro singoli condomini mentre in realtà l’area verde è riferibile appunto a più d’uno) si è risolta con l’accoglimento di un’eccezione della “difesa”, sicché il giudice stesso ha disposto che si dia corso alla cosiddetta “negoziazione assistita” entro il 17 febbraio, data della prossima udienza. A quel tempo saranno passati quasi quattro anni, dato che l’episodio “in causa” risale a primavera 2013, quando Brit aveva poco più di un anno. Ci sono dunque quattro mesi per una procedura che, per domande di risarcimento sotto i sessantamila euro, prevede di esplorare la possibilità di trovare un accordo extragiudiziale tra le parti. Una specie di “patteggiamento” in sede civile tra due privati com’è il caso in questione, insomma, posto che quello effettivo, in sede penale, contempla che da una parte ci sia lo Stato, rappresentato dal pubblico ministero.

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