Quel raccordo fantasma fra sprechi, strategie portuali e la guerra fredda

GORIZIA. La prima pietra del raccordo ferroviario “fantasma”, nel senso che mai è diventata una strada ferrata vera e propria, fu posata nel dicembre del 1960. Il primo lotto prevedeva la costruzione...
Di Roberto Covaz

GORIZIA. La prima pietra del raccordo ferroviario “fantasma”, nel senso che mai è diventata una strada ferrata vera e propria, fu posata nel dicembre del 1960. Il primo lotto prevedeva la costruzione dell’ardito ponte sull’Isonzo: 316 metri, fondazione, pilone e travate metalliche di otto luci. Lo scheletro del ponte fu approntato in pochi mesi, ma non venne mai completato. Oggi è uno scheletro arrugginito, pericoloso per i temerari che l’attraversano.

Il progetto del raccordo ferroviario tra Redipuglia e Cormons risale all’immediato dopoguerra del secondo conflitto. Ufficialmente era pensato per accrescere le potenzialità del porto di Trieste, e più precisamente l’accorciamento di 17 chilometri di distanza tra lo scalo giuliano e il confine con l’Austria. Doveva rappresentare un’alternativa più veloce e quindi più economica rispetto alla Pontebbana. Ma un’altra tesi sostiene che dietro alla motivazione ufficiale ci fosse un obiettivo strategico: ampliare l’afflusso di convogli nell’ipotetico fronte che si sarebbe ricreato nel caso del peggioramento della guerra fredda. La risposta italiana alla ferrovia Transalpina costruita dall’Austria nel 1905.

Il raccordo “fantasma” è soprattutto una delle tante storie italiane di spreco di denaro pubblico.

Nel 1967 il Ministero dei Lavori pubblici mise a disposizione 14 miliardi di lire. Il cavalcavia di Fogliano demolito ieri fu costruito a partire dall’estate del ’70 dopo il completamento dei terrapieni posti a un’altezza di sicurezza rispetto a eventuali esondazioni dell’Isonzo.

La nuova linea ferroviaria avrebbe dovuto garantire notevoli vantaggi anche per il comparto industriale del Monfalconese. Tagliava fuori invece Gorizia che con le sue istituzioni pubbliche ingaggiò un serrato e acceso confronto con il Ministero. Corsi e ricorsi della storia: avvenne quanto accaduto nella seconda metà dell’Ottocento quando l’originale tracciato della ferrovia Meridionale avrebbe escluso la Gorizia dei Ritter, gli intraprendenti imprenditori creatori del polo industriale goriziano, “nonno” di quel comparto tessile che è stata una benefica fonte occupazionale fino agli anni Ottanta.

Il raccordo ferroviario si sarebbe dovuto sviluppare su 13 chilometri con interventi suddivisi in tre lotti. Il primo, appunto, il ponte sull’Isonzo; il secondo lotto un tratto di 10 chilometri tra l’Isonzo e la stazione di Cormons: la gara d’appalto venne indetta dal Ministero dei Lp nel dicembre del 1962, i lavori iniziarono nel settembre del 1963 e mai conclusi. Il terzo lotto infine doveva coprire i 2,3 chilometri tra Sagrado a Fogliano con l’attraversamento del centro del paese e del canale Dottori.

Sarebbe curioso sapere che fine hanno fatto i finanziamenti ma temiamo sia un quesito irricevibile in un Paese scarso di memoria.

Il primo colpo di grazia al raccordo è stato dato nei primi mesi del 2012 con la costruzione dei bypass di Mariano della sr 305, il cui tragitto per una parte ricalca quello della ferrovia “fantasma”. Le idee per un suo riutilizzo non sono mancate: da circonvallazione di Sagrado a pista ciclabile Carso-Collio. Resta invece solo lo sbuffo rabbioso del caterpillar in azione a Fogliano. Cade così quello che poteva essere considerato il confine tra Bisiacaria e Isontino. Ora che il territorio provinciale sarà diviso per legge la demolizione sembra quasi una provocazione.

L’unico a guadagnarci sarà il comune di Fogliano, finalmente libero da quell’ecomostro incombente e sinistro. Se non altro le spesso snervanti attese al semaforo di chi è diretto a Gorizia saranno allietata dalla cima del Matajur.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Piccolo