Sempre più cani a Trieste: verso quota ventimila

In costante aumento i numeri all’anagrafe dei Fido. Gatti, il Comune dovrà dotare di microchip anche i randagi. Il Gattile: inutile. Ma l’Enpa: siamo favorevoli

Non salgono tutti agli onori della cronaca come Branko, il cane della Guardia di Finanza che ha scovato l’altro giorno i nove chili cocaina nascosti nell’auto di un trafficante. Ma gli animali che popolano le case e i giardini dei triestini rendono la nostra una delle città italiane con il maggior numero di animali d'affezione pro capite. Tendendo conto che i cani iscritti all'anagrafe canina comunale sono 19.327 - mai era stato raggiunto negli anni un simile numero - e che a Trieste vivono 207.800 persone, in città risulta quasi un cane ogni dieci residenti. Trieste scippa così il record vantato da Torino che ne registra uno ogni 13 abitanti. Un trend in netto aumento. «Basti pensare che nel 2011 - spiega Sabrina Loprete, responsabile del servizio di Igiene urbana veterinaria della Regione - i cani iscritti all'anagrafe canina a Trieste erano 17.552 e nel 2012 erano aumentati a 18.374».

Ma se il numero dei cani è conosciuto con precisione visto l'obbligo di registrazione all'anagrafe e il contestuale inserimento di microchip, diversa è la situazione per gatti, furetti, conigli, criceti, serpenti, iguana, pesci o tartarughe. Un'importante novità riguarda i gatti randagi, che in provincia popolano circa 700 colonie censite dai Comuni e dall’Azienda Sanitaria. Valutando che ci sono colonie popolate anche da 40 gatti e altre formate da solo tre, si stima che in città vivano circa 15 mila gatti, che si aggiungono ai circa 22mila stimati vivere in case e cortili. La novità riguarda l'obbligo da parte del Comune, proprietario dei randagi, di dotare di microchip e di conseguenza di registrare in un'anagrafe felina i mici che vivono nella colonie cittadine. Lo stabilisce il nuovo Manuale operativo per la gestione dell’anagrafe degli animali d’affezione approvato e adottato di recente dalla giunta regionale: vi si fissa la necessità che anche i gatti delle colonie vengano identificati al momento della sterilizzazione e registrati all'anagrafe degli animali d'affezione.

Il Comune per adempiere a questo nuovo obbligo dovrà necessariamente appoggiarsi all'Azienda per i servizi sanitari e a realtà come il Gattile o l'Enpa. «Per noi non sarà un problema inserire il microchip ai gatti che arrivano in ambulatorio per la sterilizzazione - osserva Jesus Catalan, direttore sanitario del Gattile - ben diversa è la situazione se ci obbligassero e inserire il dispositivo di identificazione ai gatti ricoverati ad esempio all'Oasi Felina. Riuscire a catturarli e magari a sedarli per riuscire a inserire il microchip non è un gioco da ragazzi». «Al momento non credo all'utilità del microchip per i gatti che vivono in libertà - afferma Giorgio Cociani, anima del Gattile e dell’Oasi felina - il randagio nasce libero ed è giusto resti libero in tutti i sensi. Ci sono gatti ai quali do da mangiare da anni che comunque non mi si avvicinano e in quel caso mi chiedo come sarebbe possibile leggere il loro microchip. Noi ai gatti liberi dobbiamo dare un supporto mirato al loro benessere».

I dati verranno immessi in una banca dati regionale alla quale potranno iscrivere su base volontaria il loro animale anche i proprietari di furetti, cincillà, conigli o altri animali d'affezione. «Siamo assolutamente favorevoli a questa novità sul microchip per i gatti randagi introdotta dalla Regione - dichiara Patrizia Bufo, presidente dell'Enpa - avevamo proposto noi lo stesso sistema nel 1999. Ritengo comunque sia il caso di continuare ad effettuare il segno sull'orecchio del gatto sterilizzato in maniera tale che sia più facilmente riconoscibile».

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