Sentenza definitiva, la Ferriera va demolita

La defintiva condanna a morte della Ferriera di Servola è stata alla fine emessa ieri contestualmente da Regione, Comune e Provincia e accettata a denti stretti da Confindustria e da gran parte del fronte sindacale. L’assessore regionale a Programmazione e ambiente Sandra Savino è stata efficacemente sintetica: «Una siderurgia pulita è impossibile con questa Ferriera», riprendendo il ragionamento fatto dal sindaco Roberto Cosolini: «La siderurgia pulita presuppone che si butti giù l’attuale stabilimento, per cui non esiste alcun dualismo siderurgia-riconversione perché anche se si deciderà di proseguire con attività siderurgiche sarà necessario azzerare tutto e cambiare».
Quello che si presentava come il tavolo della vita o della morte, protrattosi per quasi tre ore ieri mattina nel palazzo della Regione di piazza Unità, ha deciso almeno sulla morte. Quanto al resto, buio totale. Per ora dopo la Ferriera, nel 2015, c’è solo la prospettiva della Ferriera chiusa, nemmeno abbattuta perché anche raderla al suolo comporterà costi e tempi, oltre a qualche rischio, di ampia portata. Gli interventi che si sono susseguiti hanno sostanzialmente spazzato via due dei quattro scenari futuri possibili che sono stati prospettati dall’amministrazione regionale e illustrati dalla dirigente Maria Pia Turinetti, e che erano incentrati sulla continuità produttiva seppur segnata da forti interventi per l’abbattimento delle emissioni inquinanti: il primo con la sopravvivenza sia dell’altoforno che della cokeria, il che avrebbe permesso di salvare tutta la forza lavoro; il secondo con il mantenimento in attività solo dell’attuale altoforno, ma senza cokeria, il che avrebbe comportato forte riduzione dell’inquinamento, ma anche il taglio di un terzo della forza lavoro. Ipotesi queste che avrebbero valorizzato l’impianto nella ricerca di nuovi acquirenti, ma che sono state aprioristicamente bocciate.
È rimasta dunque in campo soltanto la possibilità della discontinuità produttiva. Una è l’ipotesi logistica per la quale si è fatto riferimento alla realizzazione di una nuova banchina o addirittura del gigantesco Molo ottavo, futuribile terminal container, con conseguente spostamento in quest’area del Punto franco. Vi sarebbero però un calo di manodopera e forti ripercussioni su Sertubi, Elettra e Linde, aziende in qualche modo satelliti della Ferriera. L’altra è l’ipotesi industriale che potrebbe prevedere un maggior numero di addetti, ma richiederebbe investimenti ingenti per la messa in sicurezza dell’area. «È in questo scenario - è stato sottolineato - che ricade l’ipotesi di insediamento di un’industria siderurgica pulita». E per gli unici due scenari che sembrano possibili, non solo l’impianto attuale non avrebbe alcun valore per i nuovi investitori, ma rappresenterebbe un peso pressoché insostenibile senza un forte finanziamento da parte del governo perché, come ha sottolineato la presidente della Provincia Maria Teresa Bassa Poropat, «nessun imprenditore può accollarsi la spesa di tutta la bonifica», per la quale Stefano Borini (Fiom-Cgil) ha fatto l’ipotetica cifra di 200 milioni di euro. A questo proposito la stessa Savino ha annunciato che verrà chiesto un incontro urgente, anche se non necessariamente congiunto, ai ministri all’Ambiente Corrado Clini e allo Sviluppo economico Corrado Passera.
«Ma quali possibili nuovi investitori e di che ramo ha trovato la Regione?», sono state le domande giunte dalle rappresentanze dei lavoratori. «Prima dobbiamo sapere cosa vendiamo e cosa vogliamo - ha risposto Savino - e per sapere dove andare a bussare dobbiamo avere gli indirizzi». Per questo ha dato a tutti quindici giorni di tempo, appuntamento a lunedì 10 settembre quando, se non ci saranno clamorosi dietrofront, si dovrà scegliere tra la riconversione logistica e quella industriale.
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