Serbia, guerra fra i clan mafiosi. In un anno registrati 29 omicidi

Sale il numero di assassinii collegati al sottobosco della criminalità organizzata. Fenomeno in atto anche in altri Paesi, sullo sfondo il controllo del traffico di droga

BELGRADO Un annus horribilis, con un numero elevato di fatti di sangue. Si può riassumere così il 2018 in Serbia e in particolare a Belgrado – ma anche in Macedonia e Montenegro il quadro è fosco - dove è salito a cifre record il numero di omicidi collegati al sottobosco della criminalità organizzata e, con alta probabilità, alla guerra in atto tra clan mafiosi.

Il quadro è stato confermato da nuovi dati resi pubblici dalla Tv regionale N1, che ha fatto un po’ di conti, con risultati poco confortanti. L’anno scorso infatti nella sola Serbia sono stati 29 gli assassinii con sfondo mafioso-criminale compiuti nelle strade del Paese, superando per quantità la somma degli omicidi della stessa natura compiuti in tutti gli altri Stati dell’ex Jugoslavia. E Belgrado è stato «il principale teatro» di assassinii ed esecuzioni, ha puntualizzato N1, con ben 21 omicidi. La Serbia in questo triste primato è ormai leader regionale nell’area dell’ex Jugoslavia. Al secondo posto, ma a gran distanza, la più piccola Macedonia, con 15 persone freddate nel corso del 2018. Terzo il Montenegro, patria dei due clan da anni in guerra per il controllo del traffico di droga nella regione e oltre, i Kavac e gli Skaljari, con sette omicidi; ma il conflitto tra clan, come segnalato in passato, si è spostato anche e soprattutto sulle strade della metropoli serba. Lontanissime, invece, Bosnia, con tre agguati mortali – tutti in Republika Srpska – e la Croazia, con due, mentre in Slovenia alla casella omicidi di mafia c’è il segno zero.

Qual è la ragione dell’alto numero di omicidi? Lo ha spiegato a N1 la giornalista investigativa Tamara Marković Subota. «Belgrado – ha detto – è il centro della distribuzione dei narcotici» verso il resto d’Europa e nei Balcani, e per i criminali sbarcare e "controllare" la capitale rappresenta «un passo ambito nella loro carriera, un fatto di prestigio».

Ma il quadro non sarebbe così preoccupante, perché il numero dei delitti va messo a confronto con la popolazione totale; e soprattutto, nel 2019 ci sarebbe stato finora «un solo omicidio», ha puntualizzato il ministro degli Interni serbo, Nebojsa Stefanović. Rimane il fatto che due fra i Paesi più interessati dal fenomeno nell’arco di tempo fra il 2012 e oggi – Serbia e Montenegro – hanno osservato in questo periodo appunto sulle loro strade 142 omicidi di mafia, ricorda l’aggiornatissimo database “Crna Knjiga” (Libro Nero), di Radio Europa Libera e portale Krik, con un trend in crescita: dai 14 del 2014 ai 24 del 2016 e ai 36 del 2018.

Ma ciò che inquieta è il numero dei degli omicidi irrisolti per mano di killer di professione, il 62%. Killer che sarebbe un “mestiere” fruttuoso, nella regione. E sempre più in voga, se le statistiche non mentono. I sicari, ha rivelato ai media locali Bozidar Spasić, un ex alto funzionario dei servizi di Belgrado ed esperto della questione, vengono pagati tra i 5 mila e I 100 mila euro per operazione. In genere si tratterebbe di ex militari o paramilitari, ma una nuova generazione di giovani senza scrupoli sta emergendo: il mercato evidentemente rimane florido. Non tutti però la fanno franca. Lo conferma il recente arresto a Praga di Csaba Der, sicario di professione, sospettato di avere operato anche a Budapest, in Olanda. E a Belgrado, in uno dei tanti regolamenti di conti, compiuti alla luce del giorno. —


 

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