"Sfrattato dal mio terreno perché italiano"

Ha un allevamento di 60 cavalli arabi e un agriturismo a Odolina: "Devo mollare tutto"
TRIESTE.
«Mi hanno sfrattato perché sono italiano. Mi hanno rimosso senza tanti complimenti da un terreno dove vent’anni fa, a pochi metri dal confine, ho realizzato un allevamento di cavalli arabi, un sogno per molti».


Le parole sono di Fulvio Bonazza, 50 anni, triestino doc. E questa è la difficile e paradossale situazione in cui si trova in questi giorni. Nel ’90 ha avuto l’idea di realizzare a Odolina, vicino a Materija, in un posto meraviglioso dal punto di vista naturalistico, già residenza estiva del barone Marenzi, la sua impresa. Lì - prima sotto la bandiera jugoslava, poi sotto quella slovena - ha pagato affitto e tasse per un terreno e per dei vecchi ruderi. Ha assunto collaboratori e soprattutto ha valorizzato un’area che era in completo abbandono. Ha creato un’attività di alto livello. Si chiama Zahrat Impex doo, il sito internet è www.malika90.webnode.com. Ma un anno fa le autorità slovene gli hanno detto basta, vattene da qui. Devi chiudere, perché l’area è di diritto di un cittadino sloveno, il cui terreno è confinante con quello dell’allevamento.


«E pensare che siamo in Europa, nel libero mercato», commenta amareggiato l’imprenditore triestino. «Ho scritto a ministri sloveni e autorità di quel Paese. Ma si sono interessati per me il consolato, l’ambasciata e anche il nostro ministero degli Esteri. A Lubiana - aggiunge Bonazza - non ci sentono. Mi hanno scritto chiaro e tondo che devo andarmene dal terreno e rinchiudere i miei cavalli nelle stalle oppure portarli via».


I suoi cavalli, una sessantina, discendono direttamente da quelli importati dalla Tunisia, da un posto nel deserto chiamato Meknassy. Era stato lo stesso Bonazza vent’anni fa a prelevare le fattrici e gli stalloni. In Italia allora non era possibile allevare quei cavalli per ragioni sanitarie. Ora i loro discendenti vivono liberi in un fondo di 40 ettari dove Bonazza ha realizzato anche un agriturismo. Racconta, con le lacrime agli occhi, la sua incredibile storia che si è sviluppata a trenta chilometri da Trieste.


«Quando arrivai la proprietà era in concessione a Lipica (la società dei lipizzani) la quale non facendosene nulla del terreno aveva deciso di vendermela. Ma alla firma del contratto fummo bloccati dalla cosiddetta legge di denazionalizzazione che tutela gli sloveni proprietari di case e terreni che erano stati acquisiti dal regime jugoslavo. Così, consigliato dal direttore dell’allevamento di Lipica, ho stipulato un contratto di affitto per l’ammontare di 25 milioni di lire all’anno, cifra che comunque al momento della stipula dell’atto di compravendita sarebbe stata scalata dall’ammontare totale».


Continua Bonazza: «Si stava realizzando il mio sogno: ho messo a posto l’acquedotto e cominciato a ristrutturare gli edifici adibiti a stalle e a trasformarli in scuderie. All’interno di un vecchio fienile ho ricavato l’agriturismo». Ma a questo punto sono iniziati i guai. «Nel ’98 - ricorda Bonazza - un funzionario del ministero mi ha detto che non dovevo più pagare l’affitto alla società di Lipica perché la proprietà era tornata allo Stato sloveno e presto sarebbe stato stipulato un altro contratto. Ma in realtà il nuovo contratto non è mai arrivato. Anzi in breve mi è giunta l’intimazione ad andarmene. Così mi sono opposto e ho fatto causa».


Ma la brutta sorpresa è arrivata dopo qualche tempo. «Un anno fa - dice ancora Bonazza - il ministero ha promosso un concorso per la concessione dei terreni della zona. Ma quello dove ho l’allevamento, l’ho scoperto poi, era già stato dato a mia insaputa al mio vicino. Aveva vinto un bando che praticamente era rimasto pubblico solo per poco tempo. Sono stato beffato».


La situazione è assurda. Perché Bonazza entro pochi giorni dovrà lasciare il terreno all’ufficiale giudiziario. «Sono distrutto e scoraggiato. Dall’Italia in tanti mi hanno aiutato. Ma non c’è stato alcun risultato, purtroppo. In questo modo verrà distrutta un’impresa all’estero. Non so come potrò farcela. Dirò addio al mio sogno di una vita».



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