Soldi veri, affari finti: truffati dalla catena di Sant’Antonio

Si chiama Fabio Romantini, 42 anni, residente a Silvi Marina in provincia di Teramo, ma domiciliato a Trieste. È indagato dal pm Matteo Tripani per avere violato la legge contro le cosiddette vendite piramidali. Una sorta di truffa. In pratica una “catena di Sant’Antonio” dove gli ultimi pagano per entrare nell’affare, ma gli utili arrivano solo al vertice. E di vendite vere e proprie non c’è proprio nulla. Tutto è assolutamente virtuale. Tranne i soldi: decine e decine di migliaia di euro. Gli organizzatori traevano insomma i propri profitti dal reclutamento di sub agenti (tecnicamente definiti Avatar) che a fronte del versamento di una quota di ingresso di 700 euro venivano avvicinati al fantomatico circuito spacciato come fonte di guadagno facile e sicuro. Nella truffa che durava da oltre sei mesi sono state coinvolte decine e decine di impiegati, casalinghe e funzionari. Tutti hanno pagato la propria quota per ottenere il kit virtuale e molti, attirati dalle proposte, hanno a loro volta cercato di inserire nell’affare conoscenti, amici e parenti. Questo per recuperare il denaro speso e poi per guadagnare somme che, promettevano gli organizzatori, avrebbero raggiunto anche i ventimila euro al mese.
L’indagine è scattata lo scorso maggio quando, su ordine del pm Matteo Tripani, i finanzieri del Gruppo di molo Fratelli Bandiera hanno messo a segno un blitz interrompendo di fatto una riunione di aspiranti Avatar all’hotel Sonia di San Dorligo, riunione presieduta da Romantini. Dai primi accertamenti è emerso che l’offerta alla quale molti avevano già aderito non prevedeva una qualsiasi vendita di una merce o di un servizio. Serviva soltanto per far pagare una ingente somma a ognuno dei potenziali soci. In pratica gli individui che si trovavano alla base della piramide avrebbero potuto recuperare il proprio investimento iniziale solo se un alto numero di nuovi partecipanti (con relativi investimenti) avrebbe aderito allo schema. L’incontro all’hotel Sonia - così aveva riferito a verbale uno dei partecipanti - era diviso in tre parti con l’intervento di altrettanti oratori.
Nella prima parte era stata illustrata «l’evoluzione del mondo virtuale». In sintesi collegandosi via web a questo mondo virtuale era possibile andare in luoghi altrettanto virtuali nei quali si poteva vendere e acquistare merce. Un gioco che era un affare, insomma. In cui per partecipare bisognava diventare agente Avatar acquistando un kit al prezzo di tremila euro (veri) di cui 750 da pagare subito e il resto da scontare sui guadagni ottenuti con nuove affiliazioni. Erano state proiettate delle slide in cui veniva spiegato il modo per recupreare somme di denaro sempre più rilevanti. Per giustificare il tipo di affare si era anche parlato di sociologia e in particolare del processo di massificazione: gran parte delle persone appartengono al ceto povero mentre una esigua minoranza sono ricchi. E ovviamente con aderendo al programma i partecipanti avrebbero potuto entrare proprio in quella nicchia di persone che vivono nel lusso. In sintesi - così emerge dall’informativa della Guardia di finanza - venivano promessi redditi fino a 17mila euro in soli quattro mesi.
Si legge nell’informativa della Finanza: «Il proponente (ndr, Romantini) espone come questo sistema piramidale dia un reddito dipendente dall’impegno profuso non a vendere un prodotto specifico ma a reclutare ulteriori agenti Avatar al fine di estendere la struttura». Tutto virtuale, insomma. Salvo i soldi sborsati.
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