«Sos amianto nella sede della Regione»

«In quella struttura c’è amianto». A sostenerlo un gruppo di dipendenti regionali che ha presentato un esposto alla Procura della Repubblica. La struttura in questione sono gli uffici in cui lavorano: locali sottoposti in questi mesi a interventi di adeguamento e di miglioramento dell’impianto di climatizzazione di prevenzione incendi.
Un maxi-intervento
rivelatosi insufficiente
In questa fase, colui che ha presentato l’esposto preferisce mantenere l’anonimato ma rende pubblica la documentazione presentata in Procura. In particolare, si punta il dito sullo stabile (che ospita anche l’auditorium) di via Roma 7/9, di proprietà della Regione e che venne costruito negli anni Sessanta. Nella documentazione (ma anche in una lettera sottoscritta da 53 dipendenti nel 2017) si ricorda come negli anni ’80-’90 l’edificio venne sottoposto a un intervento di bonifica dell’amianto che rese necessario il trasferimento di ogni attività in un’altra sede per la durata di dieci anni.
«Dopo di allòra, solo nel 2013, a seguito della rottura di una tubazione - si legge nell’esposto - è emersa inaspettatamente l’ulteriore presenza di amianto tant’è che fino ad allòra il manuale del rischio dell’amministrazione regionale non riportava alcun cenno in proposito: non sono mai state effettuate mappature, nessun monitoraggio dell’aria e il personale non è stato sottoposto alle regolari visite previste per tali casi. Oggi è fatto noto che molti materiali di rivestimento degli impianti contengono amianto, che diverse parti dell’edificio contengono amianto ed un tanto veniva segnalato, nella sua veste di datore di lavoro, alla Regione già nel... 2016». Seguirono istanze di chiarimento, fra cui la lettera firmata da 53 dipendenti. Comunicazioni che, a tutt’oggi, non hanno mai avuto risposta alcuna.
Il coinvolgimento
del Crua di Monfalcone
Alla fine del 2017, prosegue la cronistoria contenuta nell’esposto, è stato contattato al Crua (il Centro regionale unico amianto, ndr) di Monfalcone il dottor Paolo Barbina, responsabile della struttura, informandolo della vicenda-amianto nella sede regionale di via Roma per conoscere lo stato di rischio al quale, verosimilmente, i dipendenti sono stati esposti nel corso degli anni. È stato in quell’occasione che «abbiamo appreso, per le vie brevi, che la Regione Friuli Venezia Giulia non aveva mai comunicato le informazioni circa la presenza della fibra killer e non aveva mai fornito il numero complessivo di dipendenti esposti all’amianto. L’unico documento che abbiamo avuto modo di reperire è una relazione del 2016 con la quale, solo allòra, veniva evidenziata la presenza del materiale nell’edificio. In tale incartamento, a dire del datore di lavoro, si afferma che “la presenza di materiali di rivestimento, contenenti amianto, in un edificio non comporta, di per sé, un pericolo per la salute degli occupanti e che non esiste un obbligo di legge, per il proprietario, nel rimuovere l’amianto”. Ma, tra le prescrizioni, vi è la seguente raccomandazione: “Dovrebbe essere evitata l’apertura delle finestre, non solo perché in tal modo si compromette il funzionamento ottimale dell’impianto di climatizzazione, ma in particolare, perché possono formarsi correnti d’aria che potrebbero causare la movimentazione incontrollata dei controsoffitti e il danneggiamento dei rivestimenti dei tubi”».
Allo stato attuale, prosegue l’esposto, «una parte dell’edificio è oggetto di lavori definiti: “Lavori di adeguamento e miglioramento dell’impianto di climatizzazione e di prevenzione incendi”, quando invece è ben noto che i lavori sono conseguenti alla presenza di amianto».
Le richieste
alla Procura
Un tanto per arrivare alle richieste formulate alla Procura della Repubblica. La presenza di amianto, stando a chi ha presentato l’esposto, «merita un approfondimento che soltanto codesta Procura della Repubblica può effettuare, anche al fine di valutare eventuali responsabilità in ordine a fatti che costituiscono reato». Non solo. «Si rimanda alla Procura anche l’ulteriore valutazione alla trasmissione di un tanto alla Corte dei conti, al fine di individuare eventuale ipotesi di danno erariale in considerazione del fatto che la bonifica ritenuta “complessiva” eseguita negli anni ’90 e che di fatto oggi sappiamo che così non è stata. Infatti, l’esborso di soldi pubblici a più riprese per bonifica dell’amianto non appare corretta per tempi e modalità».
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