Spesa in Slovenia, risparmio del 20%

di Piero Rauber
Dall’altra parte corrono. È la solfa, ossessiva dalla caduta dei confini di fine 2007, che decanta quasi a mo’ di leggenda, oramai, la capacità degli sloveni di cavalcare i ritmi di un mondo spietato verso chi proverbialmente, italiani e triestini in particolare, davanti alle urgenze resta riflessivo, più che reattivo. Ma adesso, al di qua del vecchio valico, qualcosa sta cambiando. Qualcosa corre pure da noi. Il fatto è che non c’è da esserne tronfi. Anzi. Già perché a correre - complice, o meglio colpevole la precaria condizione italiana sullo scacchiere finanziario ed economico mondiale, che ha comportato soprattutto il ritocco all’insu dell’Iva e ha agevolato così un generale aumento dell’inflazione - a correre qui da noi non è mica la macchina della crescita. Sono solo i prezzi, per ora.
Non solo benzina e sigarette
Il risultato più evidente, se la si guarda da una zona di confine senza confini come la nostra, è che si sta allargando ulteriormente la forbice del costo di un paniere “x”, di semplici prodotti di prima necessità e di largo consumo familiare, tra i due versanti nazionali. Non più insomma, una mera questione di benzina e sigarette. Oggi siamo vicini - mettendo in tale paniere un po’ di frutta di stagione, pane, latte, uova, carne, pesce, ma anche alcuni articoli per l’igiene domestica, e persino qualche made in Italy - a un 20% secco di risparmi se le provviste vengono fatte in trasferta.
Il confronto d’inizio 2012
I freddi dati venuti a galla nel corso della nostra inchiesta fuori porta di sabato scorso, all’interno del più nuovo e grande tra i vari centri commerciali della zona portual-industriale di Capodistria, dicono appunto che facendo la spesa nel supermercato di quel centro si può spendere un 18% in meno abbondante rispetto a quanto si andrebbe a sborsare invece nel supermercato di un noto centro commerciale di Trieste, per l’acquisto di prodotti alimentari e non di uguale marca e “pezzatura”, o quanto meno di analogo livello qualitativo.
Il paniere familiare
La comparazione (come si può vedere nella tabella, ndr) ha preso a riferimento 16 articoli-campione non oggetto di promozioni settimanali in nessuno dei due esercizi che potessero essere, pur con un ovvio scarto discrezionale, rappresentativi della domanda di più tipi di famiglie “normali”.
I prodotti alimentari di base
Spiccano per differenze la frutta e la verdura: i risparmi sloveni sui costi italiani spaziano da un terzo sulle mele di piccolo taglio a oltre la metà sulle patate sfuse. Tra gli altri alimenti “di base” continua a non esserci partita: il 50% in meno sulla macinata di bovino, quasi il 40% sulle uova fresche, oltre il 10% su pane e latte.
Il pesce e le marche italiane
La sorpresa è costituita invece dal pesce. A Capodistria, sabato, si sarebbe fatto un affare (16%) solo acquistando branzini nazionali d’allevamento, mentre Trieste sarebbe stata più conveniente sia per una cena con tranci di salmone d’importazione (20%) che per una riserva di tonno in scatola di marca tricolore (14%). E a proposito di brand italiani presi fuori Italia, meglio la scorta al di qua del confine anche di pasta, ma non di Nutella.
Gli articoli di drogheria
Un robusto risparmio, infine, lo si scava pure sui beni da drogheria. Occhio alla carta igienica (è più cara fuori) ma occhio soprattutto ai pannolini per bambini. Qui il gap, sulla medesima offerta, ha dell’incredibile: i pacchi gran-risparmio più convenienti trovati a Trieste sono in vendita a 16 euro e 90, quelli di Capodistria a 16 e 99. Stesso prezzo, sì, ma in un pacco italiano, di pannolini, ce ne sono 48, in uno sloveno 82. E la differenza torna a sfondare il 40%.
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