Tentata evasione insieme a Console, condannato

Due anni e dieci mesi. È questa la pena che i giudici della Corte d’appello hanno inflitto a Massimiliano Ciarloni, il detenuto di Monfalcone condannato a 15 anni per l’omicidio del romeno Eugen Melinte, che assieme a Giuseppe Console e a un altro recluso, Bruno Esposito, tentò l’evasione dal carcere di Gorizia. Ciarloni è stato assistito dall’avvocato Riccardo Cattarini. Il collegio presieduto da Pier Valerio Reinotti ha confermato così la sentenza di primo grado comminata con rito abbreviato dai giudici di Gorizia nel gennaio del 2013. Nell’occasione Giuseppe Console, l’assassino di Gretta, aveva patteggiato la pena di due anni e sei mesi.
La tentata evasione dal carcere di Gorizia porta la data dell’11 marzo 2011. Era una domenica, giornata in cui la vigilanza all'interno della casa circondariale è meno serrata. Di servizio dinanzi alla cella numero 4 c’era l’assistente capo Francesco Santoro, ritenuto tra i più comprensivi e disponibili nei confronti dei detenuti.
Console da tempo aveva in mente la fuga dal carcere e aveva messo in atto un piano per impossessarsi delle chiavi. Santoro aveva aperto la cella e consentito a un altro detenuto, Bruno Esposito, di recarsi con un secchio a prendere l’acqua calda: si trattava di una scusa. Quando era rientrato, Santoro era stato aggredito e trascinato dentro la cella. Mentre Esposito lo aveva bloccato e gli aveva tappato la bocca per impedirgli di gridare. Ciarloni aveva vigilato per prevenire l’arrivo di altri agenti. A questo punto Console, armato con un pezzo di legno ricavato dal piede di un tavolino, gridando «sbirro di m., adesso comandiamo noi, dammi le chiavi che se non so cosa ti succede», aveva picchiato a sangue l’agente provocandogli lesioni guaribili in due mesi.
I detenuti avevano progettato di sfilare dal cinturone dell’assistente le chiavi che aprono i cancelli. Ma Santoro - pur pesto e sanguinante - era riuscito a dare l'allarme e in suo aiuto erano accorsi il capoposto e altri agenti. I tre detenuti erano stati immobilizzati e il piano di fuga era dunque svanito. A incastrare i tre non erano state soltanto le dichiarazioni di Santoro, ma anche le testimonianze di due detenuti della cella che avevano assistito impassibili alla scena. (c.b.)
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