Terapie geniche personalizzate: sviluppi e costi delle cure su misura
La storia di KJ e le grandi prospettive aperte dalla terapia genica. Ma rimane l’ombra dei costi e dell’accessibilità

KJ (così lo chiama la famiglia) è un bambino nato lo scorso anno al Children’s Hospital di Filadelfia. Dopo la nascita, era rimasto letargico e non respirava bene, e i livelli di ammoniaca nel sangue erano alle stelle. L’indagine genetica fornì la diagnosi inesorabile: KJ ha una mutazione nel gene che codifica per Cps1, un enzima del fegato che controlla la conversione dell’ammonica, che deriva dal metabolismo delle proteine, in urea, che viene poi eliminata dal rene nelle urine. Se Cps1 è difettoso, l’ammoniaca si accumula nel sangue, causando danni irreversibili al cervello.
La malattia di KJ è molto rara: meno di un caso su 1 milione di neonati. Non si può fare molto dal punto di vista della terapia: dialisi, qualche farmaco che aiuta ad inattivare l’ammoniaca, una dieta priva di proteine. Più tardi nella vita è possibile il trapianto di fegato, ma i danni neurologici subiti nel frattempo sono irreversibili.
Il Children’s Hospital di Filadelfia è uno dei centri più all’avanguardia nel campo della terapia con i geni. Subito dopo la diagnosi, un’equipe sviluppa una nuova tecnica di correzione genetica per modificare la sequenza mutata di Cps1 di KJ e trasformarla in quella dell’enzima normale. Ci vogliono solo sei mesi per ottimizzare la terapia in laboratorio. Per veicolare il sistema di correzione genetica i ricercatori utilizzano la stessa tecnologia dei vaccini per il Covid: nanoparticelle fatte di grassi che, se somministrate endovena, arrivano al fegato.
Quando sono pronti, i ricercatori chiedono alla Fda il permesso per trattare il bambino. Ottengono l’autorizzazione in una settimana. Somministrano la terapia una volta, poi a distanza di qualche settimana, una seconda. KJ migliora progressivamente: i suoi livelli di ammoniaca scendono, riesce a essere alimentato con un po’ di proteine, supera anche senza conseguenze due malattie infettive. Sono passati soltanto 7 mesi dal momento in cui era stata fatta la diagnosi.
La storia di KJ è stata raccontata la scorsa settimana al meeting dell’American Society di Gene and Cell Therapy di New Orleans, e pubblicata contemporaneamente sul New England Journal of Medicine. Quella di KJ è l’ultimo dei successi di una disciplina, la terapia genica, partita in sordina e poi finalmente sbocciata. Le terapie geniche approvate erano 7 nel 2020, 18 nel 2023, 25 oggi. Con più di 3.900 sperimentazioni sull’uomo già compiute o in fase di realizzazione.
Tutto molto eccitante, si dirà, e lo è davvero. Ma i problemi non mancano. Esistono più di 4 mila malattie ereditarie dovute a difetti di singoli geni, e per ciascuno di questi geni le mutazioni possono essere diverse decine o centinaia. Le ultime tecniche di editing genetico ora consentono potenzialmente di correggere ciascuna di queste mutazioni individuali. Ma chi paga per farlo?
La terapia di KJ è stata sviluppata con fondi accademici e il contributo gratuito di alcune biotech, come dimostrazione di principio che, volendo, una tecnologia iper-personalizzata può essere sviluppata in pochi mesi. Ma con quali fondi questo può divenire uno standard curativo per tutti?
Le terapie geniche commerciali sono sviluppate da aziende biotech o imprese farmaceutiche e sono commercializzate a costi astronomici. Ad esempio, la prima terapia basata sull’editing è stata approvata a dicembre 2023 per la talassemia beta e l’anemia a cellule falciformi, due malattie dei globuli rossi. Il trattamento costa 2,2 milioni di dollari a paziente.
Ma per la talassemia beta nascono circa 60 mila individui malati ogni anno, mentre l’anemia a cellule falciformi uccide 400 mila persone l’anno, più del 75% delle quali vivono nell’Africa sub-sahariana e in India. Di fatto, in tutto il 2024, di trattamenti ne sono stati fatti soltanto 4, tutti negli Usa. Se questo è il costo di una terapia per due condizioni comuni, quanto può essere il costo di una terapia personalizzata?
La storia di KJ, quindi, rischia di rimanere uno sforzo eroico, a meno di non riformare l’intero modello di sviluppo commerciale in questo settore. Questo può essere ottenuto riducendo i costi di produzione dei trattamenti, ora ampliamente gonfiati, calmierando gli stipendi da rock star dei manager delle aziende biotech e riducendo le aspettative troppo esose degli investitori.
Dal punto di vista regolatorio, ci devono essere dei meccanismi per cui l’approvazione sia automatica se la tecnologia rimane la stessa e cambia soltanto la sequenza del Dna che viene corretto. Soltanto con questo tipo di interventi trasversali il tempo record di sviluppo della terapia di KJ rimarrà esemplare nella storia della medicina.
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