Trieste, due colpevoli per la “movida selvaggia”

TRIESTE La colpa e la responsabilità del fracasso della “movida selvaggia” non sono solo in carico al gestore del locale ma anche al proprietario dello stabile, chiamato a controllare e intervenire in caso di rumore eccessivo.
È questo il significato dell’ordinanza emessa dal giudice Riccardo Merluzzi. Un’ordinanza confermata dal collegio presieduto da Anna Lucia Fanelli e composto da Mauro Sonego e Roberta Mastropietro che non solo ha rigettato il reclamo del proprietario del locale incriminato ma l’ha condannato, in via solidale con il gestore, a pagare cento euro per ogni giorno di violazione e a rifondere le spese di giudizio.
La vicenda che porta nuovamente alla ribalta la difficile convivenza tra il diritto di divertirsi alla sera a Trieste e quello di poter riposare tranquillamente si è svolta nello stabile di via Valdirivo 30 dove è ubicato il “Forum boutique hotel”.
Al pianterreno si trova invece il music bar “Kiss me point five” gestito da Mario Esposito. Il proprietario del locale incriminato è Domenico Cafagna.
A rivolgersi alla giustizia civile, tramite l’avvocato Fulvio Vida, è stata la titolare dell’albergo Svjetlana Radan lamentando nel ricorso «intollerabili rumori nelle ore notturne provenienti dal disco bar, che rendono impossibile il riposo con gravi e documentate ripercussioni sullo stato di salute» ed evidenziando sempre nel ricorso un danno «all’attività alberghiera esercitata nei locali». In effetti non è difficile immaginare la reazione degli ospiti che, dopo una giornata trascorsa a visitare la città, non riescono a chiudere occhio per il rumore e il frastuono della musica udibile distintamente anche nelle stanze più lontane dell’hotel, come ha accertato in seguito il perito.
Il giudice, nell’emettere l’ordinanza, è andato oltre all’accertamento della responsabilità del gestore accogliendo la tesi secondo la quale, in questa specifica circostanza, sussiste una responsabilità oggettiva del proprietario dell’immobile anche se aveva stipulato un contratto di tenore diverso con l’affittuario. «Sussiste in ogni caso - ha sancito infatti il giudice - l’obbligo di controllo e di intervento da parte del proprietario nei confronti di un conduttore che ha costantemente tenuto un volume tale da superare i limiti previsti dalla legge».
L’istruttoria dalla quale è poi scaturito il provvedimento del giudice Merluzzi ha previsto l’intervento di un consulente tecnico nominato dallo stesso giudice. Si è trattato dell’ingegner Piero Marzotti che, nella sua perizia, ha rilevato che negli ambienti dell’albergo c’erano «rumori intrusivi» e che «la normativa di legge non è stata rispettata per quanto concerne il rumore notturno». Inoltre il consulente ha accertato che «l’impianto era stato modificato rispetto alle certificazioni». Ha infine rilevato che in queste circostanze è consigliabile la cosiddetta isolazione passiva «sulla quale non sono possibili manomissioni».
Contro questo primo provvedimento, con cui è stato ordinato di far cessare immediatamente la propagazione dei rumori fino alla posa in opera di un idoneo limitatore non manomissibile, il proprietario dello stabile ha presentato reclamo. Lo ha fatto autonomamente in quanto nel frattempo il gestore aveva risolto il contratto.
Ma anche il reclamo gli ha dato torto. Il collegio ha infatti scritto che «in forza al contratto» grava sul proprietario «anche l’obbligo di osservare la diligenza del buon padre di famiglia nel servirsi del bene affittato per l’uso determinato dal contratto. Quest’obbligo comporta tra l’altro che il conduttore non tenga comportamenti in contrasto con le disposizioni di legge».
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