Trieste Film Festival, il cinema “made in Fvg” ancora una volta sul podio

Vince la Russia al Trieste Film Festival. Il pubblico, che in questi giorni ha affollato la Sala Tripcovich e il Teatro Miela, ci ha sorpresi con un scelta non scontata, attribuendo il premio al miglior lungometraggio a un film potenzialmente lontano dai gusti popolari come “Styd – Shame”, firmato dal regista Jusup Razykov. L’annuncio dei vincitori è stato dato ieri sera, prima di salutare la venticinquesima edizione appena conclusa con il film “Walesa. Man of Hope”, di Andrzej Wajda.
Al contrario, non c’erano dubbi o quasi sui documentari che avrebbero raccolto maggiore successo e ai quali, già in sede di proiezione, era stata riservata un’accoglienza più che calorosa. Il premio al miglior documentario viene infatti assegnato ex–aequo (caso raro ma non impossibile) a “The Special Need” del friulano Carlo Zoratti e a “Stream of Love” della regista ungherese Agnes Sos, alla quale va anche il premio “Espansioni” istituito quest’anno per la prima volta e conferito, dalla rete che porta lo stesso nome, a una donna che si sia distinta nel settore cinema.
Anche il premio Cei è andato a una donna, pure lei ungherese. Si tratta del documentario “Judgement in Hungary” di Eszter Hajdù, che il Central European Initiative ha reputato essere il film che meglio interpreta la realtà contemporanea e il dialogo tra le culture. Il premio per il miglior cortometraggio va a “Boles”, un lavoro dell’artista slovena Spela Cadez, che ha firmato il teaser trailer del Far East nel 2009.
Ancora il Premio Corso Salani che va a Mattia Colombo con “Voglio dormire con te”, il premio Mattador, offerto dalla Provincia di Trieste al miglior soggetto, a “L’uomo di celluloide” di Alessandro Padovani, mentre “My Last Birthday in Yugoslavia” di Bojana Vidoslajevic è il progetto selezionato a Midpoint, Central European Script Center di Praga.
In una edizione che vantava un livello molto omogeneo tra le pellicole in competizione, ha vinto un film complesso, sospeso, quasi imploso, dove le emozioni sono trattenute fino a un finale poderoso che deve certamente aver contribuito a conquistare il favore del pubblico. Ci sono echi che rimandano al cinema di Fedorchenko in questa storia di donne, donne in attesa, ambientata tra i fiordi della penisola di Kola, dove c’è un insediamento in cui vivono le famiglie dell’equipaggio di un sottomarino. La base è prossima e essere dismessa e pesa su di loro un’atmosfera cupa che porta a temere per il proprio avvenire. Qui abita anche la protagonista Lena, sposata a un marinaio che non ama a cui si è unita solo per poter cambiare vita.
Durante l’ultima traversata il sottomarino affonda, lasciando una scia di disperazione senza fine. Ma il finale inaspettato, come l’aurora boreale, ci lascia in bocca un sapore di riscatto. Decisamente più leggeri i documentari premiati, accomunati dal tema dell’amore: l’ormai famoso “The Special Need”, non esattamente road-movie, non esattamente buddy-movie, ma intreccio delicato e allegro, divertente e toccante, di amicizia, viaggi in pullmino e tanta voglia di trovare una “morosa” a Enea Gabino, 29 anni, autistico e “ipermegasimpatico”; e la documentazione apparentemente frivola ma stilisticamente rigorosa di “Stream of love”, dove gli abitanti di un villaggio della Transilvania, anche se anziani, parlano ancora liberamente di amore e di desiderio.
E così si chiude anche questa edizione, che ha segnato già in termini temporali un importante traguardo, del quale Annamaria Percavassi si rallegra: «Sono davvero felice di aver raggiunto questa meta, credo di essere un caso raro, non so in quanti possano dire di essere il direttore artistico di un Festival per venticinque anni». Ma questa non è l’unica ragione per cui festeggiare, e ce lo aveva anticipato il co-direttore Fabrizio Grosoli in mattinata: «Mi pare che sia andata molto bene, il pubblico ha affollato le sale, abbiamo potuto contare sempre su un pubblico numeroso, attento e appassionato.
Ma non solo. Anche il numero di presenze dei professionisti, dal “mercato” a “When East Meets West”, è cresciuto enormemente. Evidentemente apprezzano le nostre proposte e noi abbiamo fatto tutto il possibile con un budget che era veramente molto ridotto. Siamo contenti anche di come sono andate le sezioni più nuove, introdotte o consolidate quest’anno. “Italian Screenings”, dedicata ai film italiani, ma anche “Sorprese di genere” è stata molto seguita».
Mentre ancora si contano gli ultimi spettatori, qualche cifra trapela e riguarda il numero di biglietti e accrediti cresciuto del 30%, gli alberghi prenotati per più di 800 notti, i 500 coperti consumati nei ristoranti, gli ospiti in arrivo da più di 30 nazioni compresi il Congo e il Messico, il tutto esaurito delle proiezioni in streaming su mymovies.it oltre a un’invasione di foto di Piazza Unità su Instagram e gli altri social network.
Troppo presto per pensare alla prossima edizione, anche se «sicuramente lavoreremo per consolidare questo percorso e questi incroci tra proposte più popolari e presenze che fanno in modo che molti nuovi film vedano a luce proprio qui a Trieste» assicura Grosoli, ma certamente qualcosa è cambiato.
Un aspetto apprezzabile e non secondario è che sono sembra essersi finalmente incrinato quel muro di “diffidenza” tra associazioni e festival triestini che per anni hanno, in maniera quasi autolesionistica, penalizzato l’offerta culturale cittadina di ambito cinematografico.
Quella che è poco più che una sensazione, viene confermata anche dalla direttrice che garantisce: «Effettivamente è straordinario vedere tutti questi giovani che lavorano un po’ con noi, un po’ con le altre realtà di cinema. Lavorano alla Cappella Underground ma è come se fossero anche “nostri”, ci fanno il catalogo, proposte grafiche, ci aiutano in sala… La Casa del Cinema sta funzionando! Ed è una meraviglia, come essere una cosa sola pur mantenendo le proprie diversità. È un momento felice».
A lei ancora chiediamo: il miglior risultato? «Aver portato tanti giovani al cinema. C’è stata una trasformazione, un movimento che ha portato a un risultato importante. Il nostro pubblico non ci ha abbandonati, ma se n’è aggiunto uno nuovo. Siamo diventati un Festival giovane».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo