Trieste, l’olio di frittura sarà il nuovo carburante dei pescherecci

Dopo uno studio finanziato dalla Regione, le barche dei pescatori per risparmiare hanno ottenuto l’ok per usare il nuovo carburante. Lascerà solo un odore di patatine

Il salso che ti entra nelle narici, il profumo iodato degli scogli sferzati dalla bora, quel sentore di mare che chiudi gli occhi, respiri a fondo, e dici: «Sono a Trieste». Scordatevelo. Se va come dicono, chiuderete gli occhi e direte: «Sono da McDonald’s». Magari qualche marmocchio sarà anche contento, ma i vecchi lupi di mare?

La faccenda sta in questi termini. I responsabili delle cooperative di pescatori, guidati da quel geniaccio di Guido Doz, uno che riuscirebbe a vendere perfino il ghiaccio agli esquimesi, hanno letto da qualche parte che l’olio esausto delle friggitrici usate nelle sagre (e Dio solo sa quante se ne fanno a Trieste ogni estate) può diventare un ottimo - e convenientissimo - carburante per i motori dei pescherecci.

Non è uno scherzo, il comunicato è ufficiale e ben documentato. Dunque: gli scarti di frittura delle sagre, opportunamente trasformati in biodiesel, potranno alimentare i motori dei pescherecci della flottiglia triestina aderenti alla Associazione generale delle cooperative italiane del settore agro-ittico (così la definizione ufficiale), più brevenmente Agci-Agrital.

Dopo uno studio finanziato dalla Regione - dice il comunicato dell’intraprendente presidente Doz - alcuni pescatori si stanno preparando a diventare produttori e utilizzatori di biocarburanti provenienti da sagre, ristoranti, ittiturismi, trattorie e friggitorie.

L’idea è geniale: il peschereccio esce con lampare e saccaleva, pesca calamari e sardoni, porta il tutto alla sagra del rione e con l’olio usato per venderti il fritto misto ci manda avanti la barca per la pescata successiva.

Le prime prove sui pescherecci sono state effettuate utilizzando gli scarti di olii provenienti dalla festa del pesce di campi Elisi e trasformati in biodiesel da un impianto chimico di una ditta specializzata.

Il risparmio, se le cose vanno in porto, sarà notevole: la flottiglia triestina consuma 400mila litri di gasolio all’anno. Se si pensa che negli ultimi anni il gasolio per la pesca è passato dai 0,39 euro al litro agli attuali 0,80 il risparmio sarebbe evidente perché, tolti i 10mila euro per la costruzione dell’impianto di trasformazione, si spenderebbero solo 12 centesimi al litro per il trattamento. Uguale: trecentomila euro all’anno di risparmio sui 400mila attuali. Il 75 per cento. Doz si è offerto di provare il biodiesel sulla sua barca e assicura che i motori non hanno avuto problemi: «Sono state ridotte le emissioni di gas - scrive di suo pugno - e dagli scarichi usciva un leggero odore di patatine fritte».

Unico problema: in Italia, quando trovi un modo per non pagare le tasse, il fisco si allerta subito. Ma anche a questo Guido Doz ha pensato già. «Bisogna ancora verificare l’iter da affrontare con l’Agenzia delle Dogane di Trieste - ammette - ma credo che non ci saranno problemi visto che i carburanti e lubrificanti per la pesca sono esenti da Iva e accise». Tiè.

Insomma, il vecchio detto secondo il quale “il pesce nuota tre volte: nell’acqua, nell’olio, nel vino” andrà rivisto. Perché anche l’acqua avrà un retrogusto di fritolìn. Il vino, speriamo, no. E dopo il “tocio” a Barcola doccia con la varechina.

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