Trieste, parte dall’Ogs la “caccia” alle specie aliene sulle navi

TRIESTE. Le ultime scoperte sono due specie aliene di microalghe tossiche che rischiano di mandare gambe all'aria le coltivazioni di mitili nel Golfo di Trieste. Ma anche un bivalve e un polichete che non sono di queste zone, sono stati individuati nelle acque di zavorra di una nave all'ormeggio nel porto di Trieste. Il caso degli esemplari di Granchio blu recentemente individuati nei fondali di Grado (ma la letteratura scientifica riporta una segnalazione a Grado già nel 1949), ha fatto tonare alla ribalta la questione delle invasioni nei nostri mari da parte di specie aliene. Ma non tutti sanno che a dare la caccia a questi “alieni” - e non da oggi - è l’Ogs di Trieste, con un team di esperti capeggiati dalla ricercatrice Marina Cabrini.
In settembre, dopo aver campionato le navi nei porti di Trieste e Venezia, il team Ogs è sbarcato ad Ancona, dove ha effettuato campionamenti delle acque di zavorra in alcune navi ormeggiate nel porto. Perché ormai ci sono pochi dubbi: la gran parte delle specie marine aliene, soprattutto le più pericolose per il nostro mare, arrivano trasportate dalle acque di zavorra delle navi. È per questo che è nato Balmas (Ballast Water Management System for Adriatic Sea Protection), un progetto europeo che prevede il monitoraggio dei porti e il campionamento delle acque di zavorra nei dodici principali porti dell'Adriatico della costa occidentale e orientale, avviato nel 2013 e che finirà nel 2016.
A coordinare la campagna di campionamento delle acque di zavorra a bordi delle navi nei porti di Trieste, Venezia, Ancona e Bari è appunto Marina Cabrini di Ogs, l'Istituto Nazionale di Oceanografia e Geofisica Sperimentale, in collaborazione con Ispra e Ismara-Cnr. «Obiettivo principale del progetto Balmas - spiega la biologa - è la creazione di un sistema comune di controllo e di gestione dei porti e delle acque di zavorra che coinvolga ricercatori, esperti e autorità dei paesi che si affacciano sul mare Adriatico, al fine di monitorare la situazione attuale e tenere sotto controllo i rischi causati dal trasferimento di organismi acquatici nocivi e di batteri patogeni. Le acque di zavorra costituiscono infatti uno dei principali veicoli per il trasporto e l'introduzione di specie alloctone: per esigenze di stabilità e manovrabilità, le navi che viaggiano a vuoto caricano in apposite cisterne una certa quantità di acqua, usata come zavorra, che è poi riversata in porto al momento del carico delle merci». È così che le specie “aliene” riescono a superare gli ostacoli naturali e giungere in habitat diversi da quelli di origine, dove possono causare danni anche molto seri. Si calcola - conclude Cabrini - che ogni anno nel mondo le navi scarichino nel complesso 3-5 miliardi di tonnellate di acque di zavorra, di queste 10 milioni sono scaricate nei porti dell'Adriatico».
Un problema che, a lungo sottovalutato, è stato documentato solo a partire dagli anni ’90 del secolo scorso. Nel 2004, per iniziativa dell’Organizzazione Marittima Internazionale (Imo), l'agenzia dell’Onu competente in materia, è stata approvata la Convenzione internazionale per il controllo e la gestione delle acque di zavorra, ad oggi ratificata da 30 Stati (tra i quali l'Italia ancora non figura) ma la strada da percorrere sembra ancora in salita. «L'impatto delle specie alloctone - dice ancora Cabrini - si fa particolarmente sentire nell'ecosistema Adriatico, dove la particolare conformazione geografica e l'elevato traffico marittimo rappresentano importanti fattori di vulnerabilità».
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