Trovati gli appunti Così Pin progettava il proprio suicidio

Alessandro Pin, il 52enne di Ronchi dei Legionari dilaniato da un rudimentale ordigno che lui stesso stava confezionando sulla diga vicino all’oasi della Cona, ha descritto la sua morte. Lo ha fatto su alcuni appunti che i carabinieri del Norm avrebbero trovato nella sua abitazione in via della Rocca a Selz. Nei pochi appunti ci sarebbe la descrizione, passo passo, di ciò che poi è avvenuto alle 22 di sabato sulla diga: la costruzione di un ordigno esplosivo e il modo per farselo scoppiare fra le mani.
Nell’abitazione dell’uomo i carabinieri della Compagnia di Monfalcone hanno trovato anche alcuni grossi petardi svuotati dai quali Pin avrebbe estratto la polvere da sparo, o qualche altra sostanza esplosiva simile, per realizzare l’ordigno che lo ha ucciso.
Alessandro Pin, alla luce di questi elementi decisivi, si sarebbe quindi recato sulla diga con la precisa volontà di togliersi la vita.
È chiaro che, se tutto ciò dovesse trovare ulteriori riscontri, la prima ipotesi formulata dagli investigatori alla luce dello scenario apparso ai loro occhi alle 7.30 di domenica - quella di una pesca di frodo con l’esplosivo finita in tragedia a causa di un incidente - viene a cadere. E vengono a cadere anche tutte le perplessità suscitate da un gesto clamoroso con modalità inusuali, senza precedenti nella zona, che in un primo momento non avevano fatto propendere gli stessi investigatori per l’ipotesi del suicidio: Alessandro Pin sapeva maneggiare esplosivi, sia pure dei semplici petardi, sia pure assai potenti. Ne aveva dimestichezza. Diventa quindi comprensibile la sua drammatica scelta.
Manca, a quanto sembra, ancora una spiegazione chiara sulle motivazioni del suo gesto. Ma a completare il puzzle anche con questo ultimo tassello sono state le dichiarazioni dell’ex moglie del 52enne ronchese, dei parenti e dei pochi conoscenti. Tutti convergono sul fatto che Pin si era estraniato da tutti negli ultimi tempi e che stava attraversando un periodo di deperessione o quanto meno di profonda prostrazione psichica, a causa della mancanza di lavoro e di problemi di natura sentimentale.
Ieri intanto i carabinieri sono tornati, assieme al medico legale, nell’obitorio dell’ospedale di San Polo per una seconda ricognizione esterna sul cadavere.
Lo scopo è di individuare la natura dell’esplosivo utilizzato dal ronchese nella confezione dell’ordigno (polvere da sparo secondo le prime indagini) e la compatibilità delle ferite con un atto autolesionistico. Per conoscerne l’esito bisognerà attendere ancora qualche giorno.
Ieri invece non c’è stato un nuovo sopralluogo nell’abitazione di via della Rocca. Ma i carabinieri intendono effettuarlo nei prossimi giorni. Come pure intendono proseguire nell’ascolto dei parenti e dei conoscenti per delineare meglio la personalità dell’uomo. Che Alassandro Pin, separato, già gestore del bar “Al Corso” di Monfalcone tra l’88 e il ’93 e poi operaio in una ditta privata dell’appalto Fincantieri e ascensorista, stesse attraversando un periodo nero non sembrano esserci dubbi. Evitava di intrattenersi con i vicini di casa, frequentava solamente una “privata” di Bistrigna dove non dava confidenza ad alcuno.
I carabinieri, comunque, non abbandonano del tutto le altre piste anche se, alla luce degli indizi riscontrati, tutte le altre ipotesi perdono di spessore. Al momento, non pare che il magistrato abbia ancora concesso il nulla osta per la sepoltura.
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