“Umberto d’Ancona”, ecco la nuova nave del Nautico

Le lamiere profumano di vernice fresca, la sala macchine è tirata a lucido, i due diesel sono a un terzo dei tempi di rodaggio; sott’acqua le due eliche sono come nuove e il timore è posto bene al centro. A poppa si legge “Umberto d’Ancona”: più sotto “Trieste”, il porto di armamento.
La nuova nave scuola dell’Istituto Nautico si dondola ormeggiata a una delle banchine dell’Arsenale. L’onda lunga che arriva a terra dal mezzo del vallone di Muggia la fa muovere dolcemente come fosse un “cocaleta”, un piccolo gabbiano. Lo scafo d’acciaio, lungo quasi 24 metri, sale e scende senza fatica e senza tentennamenti.
A breve scadenza affronterà l’Adriatico dopo essere stata presentata alla città come l’erede legittima e a lungo attesa del vecchio Borino, lo scafo in legno a bordo del quale per quasi mezzo secolo hanno imparato a navigare tanti studenti del Nautico. Il Borino è in disarmo nei pressi del molo Zero del Porto Vecchio e attorno al suo capezzale di nave da lungo tempo “ammalata” si sono susseguiti i consulti degli esperti e le perizie dei consulenti. L’unico dato certo emerso da tante visite e tante parole è che l’eredità del vecchio scafo in legno passerà ufficialmente fra una decina di giorni alla Umberto d’Ancona.
Per far navigare questa piccola motonave si è compiuto a Trieste un significativo miracolo, raro, rarissimo in questi tempi difficili. Decine di aziende cittadine, tecnici, operai, professori del Nautico sono riusciti a salvare e ripristinare nel migliore dei modi quella che è stata per più di un trentennio la nave oceanografica del Cnr di Venezia.
«Lo scafo era stato posto in disarmo con un equipaggio ridotto; poi era sceso a terra anche l’ultimo marinaio e la nave era rimasta vuota, in solitudine e abbandono», spiega il professor Sergio Cossi che nel progetto del salvataggio e rifacimento della Umberto d’Ancona ha creduto senza tentennamenti ed è riuscito assieme ad altri colleghi insegnanti a coinvolgere la Cartubi, l’Ocean, la Wärtsilä, la Tripmare, la Motomarine, il Colorificio Italia, la Petrolavori, il Registro navale italiano, i Piloti del porto. Ognuno ha dato il proprio apporto al progetto.
C’è chi ha concesso l’uso del suo bacino di carenaggio, chi ha revisionato i due diesel Daf, chi ha fornito gli “zinchi”, chi ha messo a punto il radar e chi le bussole.
Ora la nave scuola diventa patrimonio di tutti: offre un’opportunità di avviamento al lavoro, di scambi culturali, di sviluppo di esperienze per gli studenti non solo del Nautico. A bordo sono disponibili una quindicina di cuccette con i relativi servizi. Sala mensa, cucina, docce, laboratori, perché per anni e anni la nave ha operato in Adriatico anche per 13 giorni consecutivi, senza toccare terra.
Il progetto messo a punto dal Nautico e dal suo preside, il professor Raffaele Marchione, è ambizioso e guarda in avanti verso i prossimi cinque anni. Non si tratta solo di far navigare l’Umberto d’Ancona, ma anche di costruire attorno a essa una rete che coinvolga le scuole, gli Istituti di ricerca come l’Ogs, l’Università, le istituzioni locali che guardano al mare e dal mare si alimentano.
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