Viaggio nella Ferriera che sta scomparendo, il gigante smontato pezzo dopo pezzo

TRIESTE Pezzo dopo pezzo, il gigante di fuoco e metallo sta scomparendo. Le fiamme da cui fino all’anno scorso uscivano migliaia di tonnellate di ghisa incandescente sono spente e hanno lasciato spazio a demolitori, ruspe e immani pinze oleodinamiche. Nel giro di poche settimane l’altoforno della Ferriera è diventato un mozzicone rispetto a com’era solo qualche tempo fa e nella cokeria è stato aperto un largo squarcio, che è l’inizio dell’abbattimento dell’altro cuore dell’area a caldo.
Dall’esterno si vede e si percepisce poco, a meno che non si abiti nelle case che si affacciano sullo stabilimento siderurgico o si navighi sullo specchio di mare antistante. Ma il comprensorio di Servola sta mutando a velocità inaspettata: fra pochi mesi non resterà che portare via le macerie e procedere alla realizzazione dei piazzali del nuovo terminal portuale, sperando che le autorizzazioni del ministero dell’Ambiente non ritardino opere che per ora – incredibile a dirsi in Italia – procedono secondo il cronoprogramma.
Presto l’area a caldo sarà solo un ricordo, dunque. Nostalgico per chi ha lavorato una vita in Ferriera. Liberatorio per i cittadini che ne hanno dovuto sopportare odori e polveri. Sui social sembra esserci un’equa divisione. Da una parte, gli operai condividono foto e video delle strutture, via via che vengono squarciate e private di impianti e rottami metallici, che Arvedi rivenderà a peso o reimmetterà nel ciclo produttivo dell’acciaio. Dall’altra, i residenti esultano mentre registrano il graduale abbassarsi dell’altoforno, che sparendo libera porzioni di vista sul mare e su un cielo tornato più azzurro di prima.
Resterà poco dello stabilimento che fu. Di certo saranno conservati due dei sei bomboloni che servivano a immettere aria fredda per alimentare la combustione dell’altoforno. In Ferriera “freddo” equivale a 100 gradi, che sono niente rispetto ai 1.600 che raggiunge il crogiolo. Quei grossi cilindri si chiamano Cowper, dal nome dell’inventore: i più antichi risalgono addirittura al 1918 e saranno preservati per non disperdere la memoria della fabbrica fondata nel 1896. Il presidente della Icop Vittorio Petrucco è venuto a Servola per fare logistica, ma ha un rispetto sacro di quello che fu e vuole un museo della Ferriera da realizzare assieme alla Soprintendenza, che ha già vincolato i due Cowper, sulla cui sommità potrebbe essere costruita una terrazza dalla quale sarà possibile stendere lo sguardo ben oltre Muggia.

Icop è il braccio operativo di Hhla Plt, che proprio accanto sta per far partire la Piattaforma logistica: per entrare in campo, l’impresa di costruzioni attende il via della Conferenza dei servizi messa in piedi dal ministero. Spetterà all’organismo tecnico dare i permessi per la demolizione definitiva delle strutture, che in alcuni casi saranno abbattute con la dinamite, come nel caso della palazzina rossa dell’agglomerato.

Intanto si prosegue con quel che si può. È già stato smontato il gasometro, che conteneva i vapori della produzione, riciclati per alimentare la centrale elettrica: è ormai foto da cartolina il suo grosso profilo visibile da chiunque percorresse la superstrada. A terra resta un grosso misuratore volumetrico, che indicava quanto fosse pieno il silo. Vicino alla cokeria c’era un secondo gasometro più piccolo: la parte metallica è stata divorata e ora gli addetti stanno facendo a pezzi l’involucro di cemento, necessario a contenere un’eventuale esplosione. Il primo dei due altoforni viene intanto segato sezione per sezione e ha già dimezzato la sua altezza. Presto toccherà al secondo, spento da anni, dopo che è stato abbattuto l’impattante nastro trasportatore che collegava le teste dei due altoforni, spostando il coke da uno all’altro. Le ruspe si sono infine appena messe in moto sulla cokeria, sventrando la prima batteria di forni. «Procedono a razzo», dice un operaio, uscendo dalla fabbrica.

Tutto è destinato a sparire. Saranno portati via i grandi sacchi bianchi contenenti i detriti delle demolizioni e la gigantesca gru che serviva a scaricare carbone dalle navi. Accanto ci sono i parchi minerali da cui nei giorni di bora si sollevavano gli spolveramenti visibili da mezza Trieste. Per continuare a produrre, Arvedi avrebbe dovuto coprirli con giganteschi capannoni: ora sono immensi campi vuoti di terra rossa. Fra qualche mese, la terra sarà scavata e diventerà base dei piazzali dove ospitare container e far passare i binari. La riconversione è iniziata. —
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