Wikileaks svela una Jovanka filo-Usa

Spunta un cablo su un incontro segreto avvenuto due anni fa tra la vedova di Tito e una diplomatica americana
Presidente Barack Obama in una foto dell'11 maggio 2010.Dopo la marea nera, la Bp si e comportata male, dando la colpa del dramma alle altre aziende coinvolte, la Transocean e la Halliburton. Lo ha detto il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, parlando di "spettacolo ridicolo" e affermando di condividere la rabbia e la frustrazione delle popolazioni colpite.
Presidente Barack Obama in una foto dell'11 maggio 2010.Dopo la marea nera, la Bp si e comportata male, dando la colpa del dramma alle altre aziende coinvolte, la Transocean e la Halliburton. Lo ha detto il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, parlando di "spettacolo ridicolo" e affermando di condividere la rabbia e la frustrazione delle popolazioni colpite.

BELGRADO. Un’ora e mezza di «conversazione schietta», il 2 settembre di due anni fa, in un piccolo appartamento del sobborgo di Dedinje, a Belgrado. Padrona di casa, Jovanka Broz. Ospiti, il ministro serbo per il lavoro Rasim Ljajic e l’ex numero due dell’ambasciata Usa a Belgrado, Jennifer Brush.

Il segretissimo colloquio a porte chiuse, il primo con un diplomatico straniero dal 1977 a oggi, è stato svelato da un “cable” pubblicato da Wikileaks. E permette di scoprire il punto di vista dell’anziana vedova di Tito, first lady trasformatasi in “paria” in Jugoslavia prima e in Serbia dopo. Completamente isolata, vive ancora in uno stato di quasi povertà e solo da tre anni ha potuto farsi rilasciare dallo Stato una carta d’identità, grazie al lavoro di Ljajic.

«Jovanka non mi è sembrata reticente. Possiede una conoscenza enciclopedica degli eventi mondiali e ha dimostrato un carisma considerevole e una mente lucida», spiega Brush nel messaggio, compilato il giorno dopo lo storico incontro.

Brush trasmette a Washington i “segreti” di Jovanka, interessanti soprattutto perché «è stata per tanto tempo un frutto proibito». Anche se «non avrà mai più un ruolo politico, i suoi ricordi meritano di essere registrati», scrive la diplomatica. E ha ragione. La vedova dell’uomo forte jugoslavo non ha remore ad aprire il suo cuore alla feluca americana. All’inizio «svela che suo padre aveva acquisito la cittadinanza americana, lavorando per 25 anni negli Usa». Jovanka mostra una «inclinazione favorevole verso l’America» e afferma che «la sua migliore visita di Stato fu quella presso Kennedy, un mese prima che fosse assassinato».

Ma il discorso si sposta sul complotto che sarebbe stato ordito contro di lei nel ’77 (Jovanka fu costretta per 3 anni agli arresti domiciliari, sospettata di aver tramato contro Tito), per impedire che potesse succedere al marito una volta morto, come sarebbe stato «logico».

Jovanka assicura di non aver mai «manovrato per prendere il posto» di Tito, ma che i suoi nemici la pensavano diversamente e così la fecero fuori. Quali nemici? Il membro sloveno della presidenza jugoslava, Stane Dolanc e il comandante della Jna, il generale serbo Ljubicic.

«E Tito era troppo debole per contrastare la cospirazione», ricorda Jovanka. Che poi confuta la teoria che il leader jugoslavo avesse previsto l’implosione del Paese dopo la sua morte. Tito, a differenza del suo massimo teorico, lo sloveno Kardelj «ha dedicato la sua carriera a tenere insieme il Paese. La regione era stata troppo spesso un mattatoio e lui voleva offrire al suo popolo una vita migliore», rivela Jovanka. Ma «gli sloveni non erano mai stati fedeli alla Jugoslavia. Erano stufi di essere stati sottomessi agli austriaci, non volevano essere sudditi degli italiani e si stancarono anche di essere parte della Jugoslavia», confida. Jovanka illustra anche altri retroscena del Paese che non c’è più.

Su Mosca: «I sovietici si comportavano come occupanti alla fine della guerra, fatto umiliante perché noi ci eravamo liberati da soli». Belgrado era affollata, nel ’45, «di siberiani e asiatici» che violentavano le donne. Tito s’inalberò e Stalin gli rispose che «i ragazzi sono ragazzi, sono stati in guerra e devono rilassarsi».

Prima di congedarsi dai suoi ospiti, Jovanka torna al presente e confessa di essere una fan del Presidente Obama e del «modo con cui tratta sua moglie. Portategli un mio messaggio di congratulazioni – chiede - e fategli sapere che una ex first lady vive in terribili condizioni a Belgrado». Poi, prima di chiudere la porta, un ultimo auspicio: «Se solo la Serbia avesse un politico come lui, potremmo ancora contare qualcosa, ma Ljajic è la sola mente brillante sulla nostra scena politica».

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