Zita, la lotta all’Alzheimer e l’accompagnamento al fine vita

Il percorso nella struttura di via crociera raccontato dalla figlia anna raspar, ex consigliere comunale 
Laura Blasich



Quando nel 2008 l’Alzheimer ha fatto l’ingresso nella loro famiglia, Gianni Raspar, fratello del fotografo Pino, e sua moglie Zita Menon, cui la malattia era stata diagnosticata, hanno deciso che la loro vita sarebbe andata avanti, adattandosi. Quanto è avvenuto grazie a una rete formata da servizi pubblici, come la casa di riposo di Monfalcone, in cui Zita, ex maestra delle materne, anche cittadine, molto attiva nell’aiuto agli altri, si è spenta a fine giugno a 83 anni, dal volontariato e dalla comunità. «In quella di largo Isonzo è sempre stata accolta, con comprensione, e di questo ci sarebbe bisogno, sempre», sottolinea la figlia Anna, ex consigliere comunale. «Fino al 2011 siamo andati in vacanza a Lussino – racconta invece il marito Gianni – e nel 2012 abbiamo festeggiato i 50 anni di matrimonio. Quando non riuscivamo più a fare delle cose, le abbandonavamo. E così nel 2013 abbiamo fatto l’ultimo giro dei passi Dolomitici, salutandoli, e, fin quando abbiamo potuto, siamo andati a pranzo alla domenica a Cittanova d’Istria».

L’ultima gita fuori Monfalcone l’8 dicembre del 2015, ai mercatini di Natale di Sauris, salutando tutti gli amici. A quel punto Zita era già stata accolta al Centro diurno della struttura Argo di San Canzian d’Isonzo per malati di Alzheimer, dopo che con l’Associazione Alzheimer isontino era stato attivato in precedenza il Progetto sollievo. Nella residenza di San Canzian era poi entrata in pianta stabile a febbraio del 2016 per poi essere accolta a marzo del 2018 nella Casa albergo di via Crociera. «Dove ha trovato un ambiente attento, anche ai dettagli, e partecipe – sottolinea Anna –. La presenza di ospiti con patologie diverse in realtà ha reso più semplice la gestione della malattia. Abbiamo sempre fatto le feste assieme nella struttura e la domenica veniva con noi alla messa a largo Isonzo, seguita dal caffè in oratorio».

La chiusura dell’ospizio a causa della pandemia non poteva passare indenne su chi soffre di Alzheimer. «Ci siamo accorti del cambiamento, quando la struttura è stata riaperta, perché la mamma è rifiorita – così Anna –. Con le chiamate non riusciva a interagire». A metà giugno le condizioni di Zita sono però peggiorate e nonostante la situazione Covid non fosse ancora quella attuale la direzione della casa di riposo, applicando i protocolli, ha fatto sì che non fosse sola nel fine vita, ma che potessero esserci Gianni, le figlie Rita e Anna, generi, nipoti. «Gli adulti erano tutti vaccinati, i nipoti hanno fatto i tamponi – ancora Anna –. Ha potuto ricevere l’olio santo da don Paolo e abbiamo potuto salutarla. Vogliamo rimarcare il coinvolgimento di tutto il personale, dalla direttrice Valletta alle oss, a infermiere e personale della pulizia, rispettoso e attento. C’è stata condivisione delle scelte assistenziali e cura, in modo che non ci fosse accanimento terapeutico. Un accompagnamento umano. Non è poco ed è importante dirlo». —

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