Abiti si fanno fiori e viceversa

Roberto Capucci e Massimo Gardone insieme per “Nei giardini del Doge Manin”

Un’affinità creativa e una sensibilità comune sono il filo conduttore della mostra “L’atelier dei fiori”, che apre domani, alle 11.30, a Villa Manin. Roberto Capucci, l’artista delle sculture di tessuto e Massimo Gardone, fotografo triestino d’adozione e da sempre interessato alla contaminazione dei linguaggi, si presentano insieme nella sala restaurata sopra il bookshop della dimora dogale, con venti abiti e diciotto immagini legati dal tema dei fiori. L’occasione è la rassegna “Nei giardini del Doge Manin”, promossa da Erpac e organizzata dalla cooperativa Monte San Pantaleone, che nel weekend proporrà un centinaio di eccellenze della florovivaistica.

Per Capucci si tratta di un debutto, il primo appuntamento espositivo dopo il trasferimento a Passariano della sua Fondazione con l’imponente archivio dello stilista (solo le creazioni tessili sono circa cinquecento), un piccolo assaggio in vista dei futuri allestimenti, quando il restauro della Villa sarà ultimato. Con il lavoro di ricerca di Gardone, la sintonia è stata immediata: la moda dialoga con l’immagine, i fiori fotografici acquistano la materialità del vestito e gli abiti-scultura si trasformano in immagine artistica. Due visioni diverse che hanno trovato una loro speciale alchimia, al di là degli spazi temporali: alcune creazioni sartoriali sono degli anni ’50, Gardone comincia la sua ricerca espressiva sul mondo vegetale a fine anni ’80, su Polaroid grande formato, e continua ancora oggi grazie al digitale.

«Il lavoro di Capucci mi appartiene - dice Massimo Gardone - perchè sono molto legato all’architettura. Per la mostra ci siamo inventati piccoli set: enormi quadri con la suggestione fotografica, che fanno da fondale, e davanti gli abiti che prendono vita». Concorda Enrico Minio Capucci, direttore della Fondazione, che da tempo è impegnato nell’accostare le opere dello zio Roberto a quelle di altri artisti: «La nostra collaborazione è appena iniziata ma ci piacerebbe che Gardone facesse una sua interpretazione degli abiti Capucci. Questi “matrimoni” con altri artisti elevano lo spirito dei vestiti, tirano fuori la loro vera natura».

Gardone, fondatore dello Studio Azimut, ha iniziato con la fotografia di danza e teatro, appassionandosi poi al mondo floreale grazie al regalo di un libro di Irving Penn e alla scoperta del suo lavoro sui fiori appassiti, resi simili a ballerini. «Man mano che proseguivo nella ricerca - racconta - le mie immagini sono diventate “pelle” di oggetti, tavoli, lampade, carte da parati, copertine di libri. Non penso mai a una foto in sè per sè, ma la vedo su una ceramica, un tessuto. Ho sempre voluto percorrere questa strada e mi piacerebbe reinterpretare gli abiti di Capucci come se fossero fiori». La mostra sarà visitabile fino al 20 maggio (venerdì 15-18.30; nel weekend 10.30-13/13.30-19), poi nelle intenzioni dei protagonisti c’è quella di farla girare in regione.

Domani, alle 15.30, a Passariano ci sarà anche il giornalista e storico inglese Mike Dash autore de “La febbre dei tulipani” (Rizzoli): nell’Olanda di fine ’600 la passione per la bellezza indusse a scambiare i bulbi con maiali, pecore, vino, burro, pezzi d’arredo, e il mercato si gonfiò a tal punto da portare il sistema al collasso. Fu la prima grande crisi economica della storia. Dash condurrà il pubblico attraverso gli imprevedibili meccanismi dei desideri umani.

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