Addio a Jean Claude Carrière lo sceneggiatore del secolo breve

il ricordo
Quando muore uno sceneggiatore solo raramente la notizia colpisce al cuore gli appassionati di cinema: da sempre il suo mestiere è noto fra gli esperti e i professionisti del settore, ma la sua gloria rifulge di riflesso, grazie alla fama dei suoi registi e alla popolarità dei film che ha scritto. Forse Jean Claude Carrière (morto nel sonno nella sua casa parigina a 89 anni) farà eccezione, tanto la sua figura giganteggia nella storia del cinema e tale è stata la sua influenza sul cinema internazionale e il teatro francese. Di lui si dice che è stato l'anima di Luis Buñuel (6 film insieme a cominciare da «Diario di una cameriera» nel 1964 per un viaggio in comune durato 19 anni), ma sarebbe impossibile limitarlo a questo, vista la mole della sua opera per il cinema e la televisione (oltre 80 titoli) e una carriera che è un autentico monumento all'arte di scrivere con le immagini. Figlio di viticultori, occitano d'origine (era nato il 17 settembre 1931 a Colombières-sur-Orb), trascorre l'infanzia nella campagna profonda e poi nell'Ile de France dove suo padre apre un caffè e lo manda a studiare alla scuola superiore di Saint-Cloud. La sua passione è la storia, ma presto abbandonerà le velleità accademiche, attratto dalla creatività (si cimenta come pittore e poi come scrittore). Per tutta la vita si definirà come un «cantastorie» e subirà le influenze tardive del surrealismo e dell'arte mimica, grazie all'amicizia con Pierre Etaix e Jacques Tati che lo portano a cimentarsi nella scrittura cinematografica dopo il modesto successo del suo primo romanzo, «Lezard» (1957). Un anno dopo il suo debutto come sceneggiatore, comincia a lavorare con Buñuel nel 1964 al ritorno a Parigi del grande regista spagnolo, ma già nel '65 sarà Louis Malle a chiamarlo per «Viva Maria!». Grazie alla passione per le lingue (fin da bambino parlava correntemente l'occitano e il francese e poi scriverà in spagnolo per Jesus Franco) si scopre un talento internazionale che lo mette a suo agio nella scrittura di copioni ambientati fuori dalla Francia come quando nel 1971 sarà a fianco di Milos Forman per il rivoluzionario «Taking Off». Intanto diventa famoso con «Bella di giorno» (1967) e non si imbarazza a scrivere storie nei generi più diversi, dal noir psicologico («La piscina» con Alain Delon e Romy Schneider) al gangster movie («Borsalino», 1970), dal romanzo sentimentale («Un pòdi sole nell'acqua gelida» da Françoise Sagan) al racconto allegorico («Il monaco» di Ado Kyrou). Il trionfo de «Il fascino discreto della borghesia» (Luis Buñuell, 1972) ne fa una star internazionale ma nello stesso periodo stringe un sodalizio fecondo con Peter Brook. Con lui se ne va un'idea della vita e dell'arte che fotografa un secolo breve (il '900) in cui venti di guerra, tempeste, utopie e speranze hanno forgiato un'idea universale dell'individuo. —
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