Addio Ezio Bosso, il genio della musica che a Trieste sognava di vivere il mare

Il Maestro è morto a Bologna a 48 anni. Aveva diretto il Teatro Verdi dall’ottobre del 2017 al giugno dell’anno dopo

TRIESTE Parlare del suo talento è quasi scontato, perché la prima impressione che dava Ezio Bosso, scomparso ieri nella sua casa a Bologna a soli 48 anni, non era solo il genio musicale, ma una formidabile adesione alla vita, una vitalità appunto che si traduceva in un entusiasmo contagioso. E poi sorrideva sempre.

Nato a Torino il 13 settemre 1971, amava Trieste, di cui è stato direttore artistico del Teatro Lirico Giuseppe Verdi dal 1 ottobre del 2017 al giugno del 2018. Ma Trieste non era solo la città in cui avrebbe lavorato, per lui Trieste era un angolo speciale di mondo. L’aveva conosciuta tramite la letteratura, ma non era sicuramente solo una città letteraria. Ci veniva con il padre, fin da bambino, per cui Trieste corrispondeva anche a un ricordo d’infanzia, a qualcosa di vissuto, non solo letto. E poi ci era tornato da ragazzo, nel 1997. Era giunto per un concerto, aveva 26 anni allora, totalmente sedotto dalla sua passione musicale. Eppure Bosso dichiarò a più riprese che nonostante la musica fosse al centro della sua attenzione, quando soggiornò nel capoluogo giuliano, nel 1997, non poteva fare a meno di passeggiare, di attraversare e conoscere le vie e le piazze, tanto da pensare che gli sarebbe piaciuto abitare qui. Desiderio nel tempo un po’ assopito e un po’ no, tanto che quando arrivò l’occasione di abitarci, nel 2017, tra i motivi del suo trasferimento dichiarò che da anni il suo medico gli raccomandava di vivere in un luogo di mare.

Fu proprio la proposta triestina a convincerlo, disse appunto: «Va bene, finalmente ho deciso di farlo, tanto più in una città magica come questa». Sappiamo poi com’è andata, ciò non toglie che la sua opera abbia destato molto entusiasmo tra i triestini, con code davanti al Teatro Verdi per poter assistere ai suoi concerti, almeno fino al licenziamento del Maestro che avvenne per una fondamentale incomunicabilità con la direzione della Fondazione. Bosso era uno di quei talenti da copione, si era avvicinato alla musica da giovanissimo, a soli quattro anni. A sedici anni era già un solista e inizia a girare il mondo. A fermarlo fu solo la scoperta della malattia, ma dopo una pausa forzata ricominciò a comporre, suonare e dirigere.

Il suo successo era già conclamato, fin da quando studiò all’Accademia di Vienna e da lì venne chiamato in importanti formazioni tra cui la Chamber Orchestra of Europe di Claudio Abbado, tra i due si instaurerà anche un importante rapporto di amicizia, non solo di lavoro. Infatti dopo la scomparsa di Abbado, Bosso ne coglierà l’eredità, la celebre Associazione Mozart 14, nata proprio a Bologna per portare la musica nei luoghi più confinati, negli ospedali e nelle carceri. Luoghi di sofferenza, la stessa che il Maestro conoscerà bene a partire dal 2011, quando scopre la malattia degenerativa che presto lo porterà sulla sedia a rotelle. Ma non si è mai rassegnato, è certo che grinta e coraggio erano qualità chiarissime del suo temperamento. Dopo le cure c’è una sorta di rinascita anche artistica, di impegni molteplici, di sfide, tra cui la stessa sfida triestina. D’altra parte la sua musica è stata commissionata dalle più importanti istituzioni operistiche mondiali dal Royal Opera House al Bolshoij di Mosca al New York City Ballet, oltre ad aver meritato i più insigni riconoscimenti.

Il male non l’ha piegato di un millimetro. Voleva fare musica e farla bene. Anche su Trieste aveva le idee chiare: aprire le porte del teatro ai giovani e a tutta la città era un obiettivo che lo legava fortemente a tutta la squadra del Verdi. Pensava appunto che la musica fosse fondamentale per la società e il Verdi poteva portare i ragazzi a teatro non a subire, ma a conoscere musica. Ciò che contava era soprattutto la qualità, fare ricerca, migliorare. Ma per lui fare musica non era solo rigore e tecnica, ma anche comunione. E aveva senso dell’humor. Diceva appunto che senza ironia la vita non vale niente. A chi lo paragonava, per la sua esuberanza, a quel “ragazzaccio aspro e vorace” di sabiana memoria, rispondeva schietto: «Come dico sempre: i gradini possono creare qualche ostacolo alla mia esuberanza». Non era uno snob, amava tutta l’arte più alta, ma ascoltava anche il rock e ha composto molto anche per il cinema, tra cui per “Il ragazzo invisibile” di Salvatores, girato proprio qui a Trieste.

Da un anno aveva dovuto abbandonare il pianoforte, le sue dita non rispondevano più alla forza necessaria per i tasti. Ma anche allora, niente piagnistei, continuava a condurre la sua orchestra, La Europe Philharmonic, il cui ultimo concerto è avvenuto in gennaio, al Conservatorio di Milano. Molto rimane: sinfonie, composizioni per orchestra, per quartetti, per trii, per balletti, per il teatro, per colonne sonore, ma rimane anche molta umanità. Per Bosso dirigere significava «prendersi la responsabilità dell’altro», una cosa che amava. E proprio qui, a Trieste, dichiarò il suo segreto per non farsi sopraffare dalla sofferenza, dalla mancanza, nel suo caso, di fare musica per anni a causa della sua malattia: «Bisogna riuscire ad accettare quello che si è» disse. «Accettare anche la propria fragilità». —

 

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