Addio Jean d’Ormesson, gran signore della cultura

«Jean d'Ormesson era lo spirito francese. Vale a dire, quel “melange” incomparabile di eleganza e di grazia, di profondità senza pesantezza, di infaticabile curiosità e gusto della vita»: le parole...
«Jean d'Ormesson era lo spirito francese. Vale a dire, quel “melange” incomparabile di eleganza e di grazia, di profondità senza pesantezza, di infaticabile curiosità e gusto della vita»: le parole di Emmanuel Macron, nel giorno della scomparsa descrivono perfettamente la figura del grande Accademico di Francia, morto l’altra notte a Neuilly-sur-Seine, alle porte di Parigi, all’età di 92 anni. I francesi lo credevano immortale, così come vengono definiti i membri dell'Accademia, fra i quali entrò a 48 anni. Forse per la sua proverbiale curiosità, la sua abilità oratoria, straordinaria almeno quanto l'ispirazione di letterato. Era lieve e predicava la saggezza di gustare la vita fino in fondo, non negarsi mai nulla, scendere in profondo restando leggeri, sorrisi e allegria accanto alle arguzie impertinenti. Studi brillanti, master in filosofia, entra all'Unesco poi nel 1970 è già direttore di Le Figaro, che rilancia in copie e prestigio. Per 40 anni rimarrà la penna simbolo del giornale, volto prestigioso e rigoroso del foglio conservatore. Scriveva praticamente da sempre, ma il grande successo arrivò nel 1971 con «La gloria dell'impero» e «A Dio piacendo». In Italia raggiunse il massimo della notorietà nel suo periodo «veneziano»: «Il vento della sera» (1985), «Il romanzo dell'ebreo errante» (1990) e «La dogana di mare» (1994).


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