Alle “Vite impossibili” di Greer il Bottari Lattes

Lo scrittore pubblicato da Bompiani: «Mi sono sposato con il mio compagno cinque anni fa»

MILANO. È stato il voto dei 192 studenti delle dodici giurie scolastiche di diverse città d'Italia (oltre a una estera, Istanbul) a decidere ieri sera il nome del vincitore tra i finalisti del Premio Bottari Lattes Grinzane: Andrew Sean Greer con “Le vite impossibili di Greta Wells” (Bompiani). Lo scrittore americano ha avuto la meglio su Stefania Bertola con “Ragazze mancine” (Einaudi); Peter Cameron con “Il weekend” (Adelphi); Kim Leine con “Il fiordo dell'eternità” (Guanda); Alessandro Mari con “Gli alberi hanno il tuo nome” (Feltrinelli).

Il libro del vincitore era dato per favorito, nella lettura dei ragazzi delle scuole, per il fatto di presentare una storia che si presta a diversi livelli di lettura, una vicenda fantastica e insieme simbolica, che parla da un lato delle diverse personalità che albergano in ciascuno di noi, dall’altro del nostro desiderio di evasione dalla quotidianità. Ma anche perché l'autore, californiano, 44 anni, è un personaggio da anni impegnato, sul piano civile, nella difesa dei diritti delle minoranze, in particolare della comunità gay. Anche lui ha una relazione che dura da diversi anni. «Ho un compagno da 17 anni - confida - e siamo sposati da 5, da quando cioè in California è stata varata una legge che consentiva il matrimonio tra persone dello stesso sesso». Sulle unioni gay in Italia c’è un’accesa discussione. Com’è la situazione negli Usa? «Alcuni Stati le prevedono, altri no. Va detto però che l’accettazione di questa realtà è avvenuta molto rapidamente».

Anche i libri di Peter Cameron affrontano spesso il tema delle relazioni di coppia, comprese quelle omosessuali. Questo scrittore statunitense in Italia ha un successo eccezionale, molto più che negli altri Paesi in cui è tradotto. Da dove viene questa predilezione da parte dei lettori italiani? «Credo - azzarda - in parte dall'indiscusso prestigio della casa editrice che mi traduce da voi, Adelphi, e in parte dalle tematiche familiari presenti nei miei romanzi, un argomento molto sentito nella cultura italiana».

Intanto venerdì aveva tenuto banco uno scrittore di culto, il britannico Martin Amis, che ha pronunciato nel pomeriggio la propria lectio magistralis in occasione del conferimento del premio della sezione La Quercia per il romanzo London Fields, un libro del 1989 (uscito prima da Mondadori con il titolo Territori londinesi e poi da Einaudi con quello originale), che rappresenta un po' il pannello centrale del suo trittico londinese (con Money, 1984, e The Information, 1995). Nella motivazione, la giuria definisce London Fields «uno degli eventi capitali nella ricerca letteraria dell'utimo quarto di secolo del Novecento». Ma la qualità di questo scrittore è anche nell'analisi sociale. Del resto pure il suo ultimo libro, Lionel Asbo (uscito lo scorso settembre da Einaudi), è un efficace affresco dell’odierna società britannica, rappresentata nei suoi diversi strati.

Il soggiorno in Piemonte è stato anche l'occasione perché Amis rendesse omaggio a quello che ha definito come uno degli scrittori più importanti per la propria formazione, Primo Levi. «L'ho sempre visto - ha detto - come rappresentativo di virtù tipicamente piemontesi quali la moderazione, la finezza di intuito, la temperanza. Sono anche qualità stilistiche che si trovano nella sua opera. Leggendo Primo Levi ho imparato molto non solo sulla Shoah, ma anche su me stesso e sulla natura umana. I suoi libri li porto dentro, e mi alimentano come persona e come narratore. Ora sto scrivendo un romanzo ambientato ai tempi del nazismo, quando l'uomo ha raggiunto livelli di crudeltà neanche paragonabili a quelli delle bestie feroci. Mi interessa scavare nella psiche di chi, accecato da un'ideologia disumana, ha mostrato a quali livelli possono abbassarsi le persone».

Roberto Carnero

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