Andrea de Adamich, il triestino pilota di Formula 1 con le nobili radici

Fiora Palazzini
Andrea de Adamich
Andrea de Adamich

Negli anni in cui gareggiava eravamo orgogliosi di dirlo triestino, perché vinceva, ed era anche un bel ragazzo, sorridente, affabile. Mi ha agevolato il contatto Marco Fornasir, presidente dell’associazione “Amici Triestini di Milano”, quindi la patente di triestino “doc” per me ce l’aveva tutta, Andrea Lodovico de Adamich, un ex pilota automobilistico, telecronista sportivo, giornalista e conduttore televisivo, in particolare alla trasmissione sportiva Grand Prix su Italia 1. Insomma uno che non si dimentica.

Poi, nella piacevole chiacchierata telefonica, ho scoperto che in realtà è nato a Trieste quasi per caso, e che ci è vissuto pochi anni.

Ma, come tanti altri – troviamo questo concetto anche in alcune pagine della nostra letteratura – anche lui ha deciso convintamente di dirsi triestino, perché lo sentiva intimamente e ha scelto di esserlo, al di là della realtà dei fatti.

Non disse anche Joyce che la sua anima era a Trieste? Triestino, quasi per caso?

Io mi sono sempre dichiarato - nello sport, nell’attività imprenditoriale, in televisione - un triestino. Poi però spiegavo che sono nato “in transito”, nel 1941, perché mio padre e mia madre con l’arrivo dei titini, c’era la Jugoslavia allora, sono scappati da Fiume per andare verso Milano e Vicenza, che era la città di mia madre. Ma decisero di fermarsi prima per un po’ a Trieste, dove avevamo una bella casa in via Murat, che purtroppo poi è stata distrutta dai bombardamenti alla fine della guerra.

Ha qualche memoria della nostra città, di quando era piccolo?

I ricordi che ho di Trieste sono un po’ dei flash. Ne ho uno vivissimo: ho iniziato a nuotare a circa quattro, cinque anni all’Ausonia – che poi ho visto esiste ancora. Mia madre, una donna molto sportiva, a un certo punto vedendo che io ero un po’ refrattario, mi ha buttato in acqua, logicamente stando attenta, dal piccolo pontile che c’era in questo bagno e io muovendo le mani tipo cagnetto sono riuscito ad arrivare fino alla scaletta. Me lo ricordo come fosse ieri.

È ritornato qualche volta a Trieste?

Più volte: è una città splendida, con quella meravigliosa piazza! Sono venuto anche anni fa con la mia famiglia attuale, proprio per far vedere anche a loro quanto è bella, con quel mare… Di Trieste ho ancora e sempre un bel ricordo, anche perché i triestini sono persone per bene e poi le ragazze, le cosiddette “mule”, sono sempre state notevoli. Ci sono ritornato una volta anche nella mia attività dai vent’anni in avanti, per gareggiare nella Trieste–Opicina, dove ho fatto un incidente da sopravvivenza grandioso! Mi sono rovesciato in una esse sul percorso e con la macchina capottata sono finito contro un muretto che ha divelto tutto il tetto della macchina e sono caduto in un fossato dieci metri sotto. Mi sono svegliato in ospedale. Però è andata molto bene, per fortuna. Questa gara l’ho fatta una volta, e non ci sono più tornato. A me poi le gare in salita non piacevano, avevo deciso di partecipare proprio perché si svolgeva a Trieste.

Ha detto che la sua famiglia è originaria di Fiume.

Fiume rappresenta la storia della mia famiglia, invece Trieste ce l’ho nel cuore, legata più a me. La mia famiglia è stata molto importante nella storia di Fiume. Parliamo dalla fine del ‘700, inizio ‘800, un mio antenato, di cui poi ho ricevuto il nome, Andrea Lodovico, è stato un grande imprenditore, aveva anche una compagnia di navigazione. Alla città di Fiume donò sia un teatro di migliaia di posti sia un ospedale per l’epoca modernissimo. La strada e la piazza principale di Fiume, oltre al molo più grande del porto, erano tutti intitolati a lui. Prima la mia famiglia si chiamava solamente Adamich, poi Bismarck concesse al mio avo, per meriti speciali, il “de”, un bel riconoscimento, all’epoca dell’Impero austro-ungarico. Con l’avvento della Jugoslavia tutto venne cancellato. Ma per fortuna quando Fiume è diventata parte della Croazia hanno ripristinato i nomi nella strada e nella piazza. Pensi che addirittura nell’hotel più bello della città la suite imperiale si chiama proprio “Andrea Lodovico Adamich”: e io ci sono andato a dormire qualche anno fa con la mia famiglia! Se poi un giorno va a fare una gita a Fiume, visiti anche il Museo…

Che cosa trovo nel Museo di Fiume?

Intanto vedrà un grande ritratto del mio avo Andrea Lodovico, una copia, perché io ho l’originale. E poi il museo ha pubblicato un bellissimo libro “L’era de Adamich” raccontando tutto quello che ha realizzato il mio illustre antenato. Io ci tengo molto alla storia della mia famiglia, anche per i miei figli, per chi ci sarà dopo di me. L’unica cosa che mi rammarica molto è che tutti i beni privati della mia famiglia, come le fedi con i nomi incisi, gioielli, lettere, sono tutti depositati nel museo. Non entro nel merito dei valori, ma dei ricordi, almeno di quanto è privato. Ho fatto la richiesta di poterli riavere, ma non me li hanno mai concessi.

E suo padre era anche lui legato a Fiume?

Ah, bè, pensi che era uno di quegli studenti andati con D’Annunzio per liberare Fiume… ma alla prima cannonata sono scappati tutti! Mio padre è stato capo commissario dell’Italia Navigazione. La storia della mia famiglia era molto legata alle navi. Ho tutte le foto in divisa con lui e le famiglie reali che facevano la traversata. Erano navi bellissime, pensi che mio papà è stato anche commissario sull’Andrea Doria, prima dell’incidente.

Quando le è venuta la passione per le corse automobilistiche?

Intanto devo dire che mia madre Anna è stata credo la seconda o terza donna che, circa nel 1911, ha preso la patente. Doveva vedere le macchine che avevano i miei! Però per loro l’automobile era solo un mezzo di trasporto, e normalmente guidava mia madre, che era molto brava e attenta. Io poi sono diventato un grande collezionista di auto e di moto. Ho 60 Ferrari, 70 Maserati, 150 Alfa Romeo e 130/135 moto Guzzi e qualche Augusta. Dalla mia prima macchina del 1971 sino a quelle uscite ieri l’altro, le ho tutte. Da giovanissimo non pensavo alle corse, ma partecipavo alle autosciatorie, perché ero piuttosto bravo a sciare anche a livello agonistico, ma, non avendo ancora compiuto i 21 anni, potevo fare solamente il cronometrista, non potevo guidare in gara. Poi, nell’anno della mia maturità, siccome ero uscito con la media dell’otto, mia mamma come regalo mi comprò una Triumph TR3, decapottabile… Se la ricorda? Faceva un sacco di scena, la usavo un po’ come immagine, per fare colpo sulle ragazze! Pensi che ce l’ho ancora, l’ho conservata, perfetta, immacolata!

Ha iniziato dunque a gareggiare con la Triumph?

Sì, sono riuscito ad avere la licenza per le gare anche se avevo solo 18 anni e mezzo, con il permesso e la firma della mia mamma. E, con sorpresa, ho scoperto che oltre alle autosciatorie di regolarità, avrei potuto anche partecipare alle gare di velocità organizzate dall’Automobil Club di Milano. Sino a quel momento non pensavo assolutamente alle corse però mi si è acceso un faretto, avevo 19 anni, e mi sono iscritto alla prima gara che c’era, nella zona di Piacenza. Arrivo terzo della categoria, lasciando indietro un po’ di Porsche Carrera, che arrivavano col camion e un team. Io andavo alle gare da solo, per strada, non avevo neanche il meccanico, la mia era una macchina normale. Dopo due settimane un’altra gara in salita, e arrivo secondo! Mi sono entusiasmato alle gare perché l’idea di tagliare le curve in una strada chiusa al traffico era fantastica! Nel ’63 ho partecipato al Campionato italiano di Formula Junior e poi sono andato avanti… Ho smesso nel ’74, dopo due gravi incidenti in Formula Uno. E ho imparato a fare l’imprenditore.

Parla della Scuderia?

Certo, ho iniziato prendendo il controllo societario di un autodromo, che è ancora la mia sede, non per fare gare ma per insegnare la guida sicura a manager, ispettori, ma anche alla polizia, ai carabinieri, a tutti coloro che usano ogni giorno l’automobile per lavoro. Noi insegniamo ad avere più margini di sicurezza nella guida di tutti i giorni. E abbiamo avuto un grandissimo successo. Ma ho fatto anche per parecchi anni l’imprenditore di una linea di abbigliamento per un famoso brand, sponsor della Formula Uno. E le racconto una curiosità inedita: per le prime tre stagioni ’76 e ’77 avevo scelto un giovane stilista che stava per farsi strada. Era Giorgio Armani. Ho tutti i suoi disegni originali nel mio archivio. Era già allora un grande innovatore. E le giornaliste alle conferenze stampa erano tutte innamorate di lui…

Tornerà ancora a Trieste?

Mah! Sa, con quell’autostrada… è complicato arrivare a Trieste da dove abito io anche in treno… Ma venga lei a trovarmi, le faccio vedere la mia collezione di automobili.

Con piacere! Non mi capiterà mai di ammirare tante Ferrari tutte in una volta sola.

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