Arte e pene d’amore: al Teatro Verdi arrivano i giovani della Bohéme

Una Bohème tutta di giovani interpreti, come gli scapestrati artisti parigini musicati da Puccini, va in scena al Teatro Verdi da venerdì 9 dicembre alle 20.30. L’opera lirica in quattro quadri su libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa –tratto da ‘Scènes de la vie de Bohème’ di Henry Murger – si avvale del nuovo allestimento della Fondazione Teatro Lirico Verdi di Trieste per la regia di Carlo Antonio De Lucia, che firma anche le scene insieme a Alessandra Polimeno, costumi di Giulia Rivetti, maestro concertatore e direttore Christopher Franklin, maestro del Coro Paolo Longo.
Nel cast cantano Lavinia Bini/Filomena Fittipaldi (Mimì), Alessandro Scotto di Luzio/Carlos Cardoso (Rodolfo), Federica Vitali/Olga Dyadiv (Musetta), Leon Kim/Luca Galli (Marcello), Fabrizio Beggi/Andrea Comelli (Colline), Clemente Antonio Daliotti (Schaunard), Alessandro Busi (Alcindoro/Benoit), Andrea Schifaudo (Parpignol), Damiano Locatelli (Il sergente dei doganieri), Giovanni Palumbo (un doganiere), Andrea Fusari (un venditore ambulante), con la partecipazione del Coro ‘I Piccoli Cantori della Città di Trieste’ diretti dal maestro Cristina Semeraro (repliche serali alle 20.30 nei giorni di sabato 10 e venerdì 16; le repliche pomeridiane alle 16 si terranno domenica 11, sabato 17 e domenica 18).
L’opera è stata presentata ieri al Ridotto del Teatro Verdi secondo il nuovo schema di “Open Press Conference in Show” che unisce comunicazione, divulgazione e spettacolo, presenti il sovrintendente Giuliano Polo, il direttore artistico Paolo Rodda, il direttore d’orchestra Christopher Franklin e il regista Carlo Antonio De Lucia.
In questo nuovo format che il Teatro Verdi sperimenta e lancia per primo in Europa troveranno spazio anche la classica prolusione “Fuori scena” ospitata al Museo Teatrale Schmidt (lunedì alle 17.30 alla Sala Bazlen di Palazzo Gopcevich, con il musicologo Paolo De Nicola) e il rinato ‘Opera Caffè’, ospitato al Ridotto, riservato al cast vocale.
«I tre appuntamenti, tutti in collaborazione con l’Associazione Amici della Lirica G.Viozzi, rappresentano – ha sottolineato Polo –uno sforzo produttivo importante e unico nel suo genere da parte del Teatro». Pubblico numeroso ieri all’Open Press, in sottofondo le melodie di Bohème registrate al Verdi nel 2016, sul palco del Ridotto il Maestro Franklin e il regista De Lucia hanno dialogato con Sara Del Sal ed Elisabetta D’Erme, moderatrice Alessia Cappelletti.
Nel definirsi un direttore dal repertorio eclettico Franklin ha dichiarato di non appoggiarsi sulla tradizione in sé per cercare di capire, piuttosto, perché si fanno o non si fanno certe cose: «Premesso - ha detto - che alcune tradizioni interpretative ci possono stare, in questo momento con i cantanti mi diverto ad analizzare i particolari, le sfumature e le sottigliezze date per scontate ma che non sempre coincidono con quanto ha scritto Puccini».
Naturalmente per fare questo bisogna avere a disposizione un cast di cantanti giovani che hanno voglia di mettersi in gioco «e in questa produzione direi proprio che li abbiamo trovati – prosegue il direttore – sono artisti pronti a recepire consigli e suggerimenti, nella consapevolezza che, se si segue esattamente tutto ciò che ha scritto Puccini, viene fuori una fluidità dell’espressione che vivifica e consolida l’interpretazione».
«Se Verdi - ha aggiunto Frnklin -, che è drammaturgicamente perfetto, bisogna cantarlo sulla parola, in Puccini bisogna fare attenzione ai tempi che non sono mai rigorosamente ritmici. Per questo cerco di asciugare rallentandi eccessivi e altre libertà ritmiche non scritte, un lavoro che si può fare proprio con i giovani cantanti che non hanno strutture interpretative sedimentate».
Per il regista Carlo Antonio De Lucia l’approccio all’opera deve avvenire in maniera classica cioè rispettosa della volontà dell’autore anche se, in questo caso, ha scelto l’ambientazione nella seconda metà dell’Ottocento anziché nella prima.
«Non soffro della sindrome del creatore ma mi basta quella dell’esecutore – dice il regista – quindi uno dei paradigmi che caratterizza la mia visione professionale stigmatizza che la migliore regia è quella che non si vede, è quella dove lo spettacolo fluisce con una sua logica perfetta e senza distrazioni. Io non amo il condominio interpretativo, dove vedi che in buca succede una cosa e sulla scena succede tutt’altro rispetto a ciò che stanno cantando gli interpreti: l’unica particolarità che mi concedo in questa regia è un piccolo omaggio a un’avanguardia femminile che è stata nell’Ottocento la figura di George Sand e quindi Musetta sarà vestita in frac, una scelta che non stravolge niente ma anzi rievoca il personaggio».
Infine, dalle parole ai fatti, le spiegazioni hanno ceduto il passo alla musica e all’emozione melodica del quartetto finale atto terzo, affidato alle fresche e giovani voci di Lavinia Bini (Mimì), Alessandro Scotto di Luzio (Rodolfo), Federica Vitali (Musetta) e Leon Kim (Marcello), accompagnate al pianoforte da Adele D’Aronzo. Vivo apprezzamento del pubblico per la nuova proposta e per la generosa partecipazione degli artisti presenti.
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