Dal Mediterraneo alla Luna viaggi come esperienze di vita tra cronaca e immaginazione

“Il Mediterraneo è...”. Righe su righe d’indecisione, cercando una definizione che eviti gli stereotipi. Sino a dire che “tanto per cominciare è piccolissimo... un corso, che somiglia più di quanto possiate immaginare alla strada principale d’una città di provincia. Quando ci si incrocia, ci si saluta. Diciamo buon giorno a Pierre e a Emma, ad Akrim bey o a Pepito”. Comincia così un intenso e divertente racconto di viaggio di Georges Simenon, “Il Mediterraneo in barca” (Adelphi, pagg. 169, euro 16) diario d’una crociera a bordo dell’Araldo, una goletta di trenta metri. È il 1934. Si parte da Porquerolles, si toccano Genova, Napoli, Messina, Siracusa, Malta, Atene, Tunisi, Biserta, Cagliari e si scrivono reportage per la rivista Marianne. Cronache di luoghi e soprattutto di persone, di abitudini e cibi (delizioso l’elogio della cassata siciliana), si raccolgono storie d’un mare ricco di commerci e conflitti, memorie (“È la Bibbia”) e sapida umanità. E fascino: “L’aria ha la dolcezza dei fichi maturi”.
Il viaggio per mare. E l’approdo. Di cui scrive Cees Nooteboom in “533. Il libro dei giorni” (Iperborea, pagg. 234, euro 16,50) una meditazione laica sul tempo, le ombre del declino della vita e la preparazione alla sua fine. Quell’approdo è Minorca, l’isola minore delle Baleari, dove si arriva dopo un peregrinare lungo un’esistenza intensa di viaggi, scoperte, racconti. L’isola è luogo letterario, spazio speciale: favorisce il silenzio, il raccoglimento dei pensieri nell’osservazione affettuosa della natura, la memoria degli altri viaggi fertile di nuove e, chissà, ultime considerazioni: “Forse non hai mai capito i meccanismi essenziali del disastro, ed è tempo che ti chiuda nel tuo giardino mentre tutti gli altri procedono frenetici e inarrestabili in un mondo che è tutto un malinteso”. Così Nooteboom traccia bilanci, contemplando “il mare che ha tempo per pensare”, i colori degli ibiscus e il verde cangiante dei cactus, piante speciali, spinose, ma con un cuore d’acqua che conserva l’essenziale per la vita.
Dal mare ai monti. Con le pagine di “Il passo del vento”, un “Sillabario alpino” scritto da Mauro Corona e Matteo Righetto (Mondadori, pagg. 228, euro 18). Si comincia con abete e alba, si finisce con zigolo e zuppa, che “deve essere fatta in casa e avere lo scopo di fare del bene”, passando da disgelo, “un miracolo grande” del risveglio e dell’acqua che torna a scorrere, e poi da neve, risalita, roccia, speck e stambecco. Montagne come esperienza di vita, metafora d’un percorso di conoscenza del mondo e di rivalutazione del senso di essere persone, padri, figli, viaggiatori e lavoratori, passando per picchi e cadute, freddo gelido e tepore protettivo dei boschi, natura da preservare e valorizzare e senso speciale d’umanità sospesa tra radici e movimento: “Gli alberi sono come le persone e le foreste sono intere comunità”. Storie e aneddoti, ricordi e illuminazioni. S’invecchia con lucidità: “Sono ancora vivo, sano, con qualche desiderio di montagne. Cammino, bevo, posso leggere, sono nonno. Che voglio, ancora?”
Ci sono viaggi speciali, oltre i confini della terra. Nello spazio. E nell’immaginazione. Ne sono straordinaria, poetica testimonianza le undici storie raccolte da Divier Nelli in “Moon - 50 anni dall’allunaggio” (LiscianiLibri, pagg. 272, euro 14,90): racconti di Leonardo Gori, Giulio Leoni, Mariano Sabatini, Giada Trebeschi, Monica Campolo, Stefano Fazzi, Fabiana Catani, Paolo Miniussi, Vittorio Simonelli e Maniela Bertuccelli, scrittori noti ed esordienti, introdotti da tre pagine di Tito Stagno, il conduttore del Tg Rai di quella notte del 20 luglio 1969 in cui la percezione del mondo cambiò: “Dalla diretta Tv di quell’estate lontana arrivarono immagini in bianco e nero ancora vive nella memoria di migliaia di migliaia di uomini e donne...”. Gli undici scrittori, partendo dall’impresa di Armstrong, Aldrin e Collins, giocano di ricordi e fantasie, costruiscono scritti densi di mistero e di raffinata ironia e ridanno vita a uno dei più grandi miti del Novecento. E lo spazio torna a essere a portata di mano. —
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