Dentro una soffitta la Trieste anni ’70

Si presenta venerdì il nuovo romanzo di Jelinčič
È un gioco di nostalgia, di gioventù e di sconfitte, con una protagonista: la soffitta in Cittavecchia, con tutto quello che può evocare un “antro” del genere affollato di sogni. Seconda metà degli anni Settanta: un gruppo di ragazzi si trova per la prima volta a dover affrontare l’amore, la politica, gli spinelli, il sesso, le incomprensioni, la vita adulta e, infine, anche la morte. È il ritratto di una generazione che ha maturato la propria giovinezza nel clima delle rivoluzioni, vere e sognate, ma che dopo vari e onesti tentativi di vivere la vita appieno si trova al punto di partenza, delusa e disincantata: c’è soprattutto questo nel libro di
Dušan Jelinčič
Quella soffitta in Cittavecchia
” (
Mgs Press, 207pagg., euro 16
), che verrà presentato venerdì alle 18 alla libreria Lovat di viale XX Settembre, a Trieste, anche alla presenza della scrittrice e saggista Tatjana Rojc.


Il protagonista “umano” è Sandro, l’affittuario della soffitta. Studente universitario di sinistra non proprio in regola con gli esami di Storia, famiglia perfetta per una serie tv (papà altero e di poche parole, mamma chioccia e nevrastenica, sorellina fastidiosa). Un figlio della borghesia. E una quotidianità ammuffita, insopportabile per un giovane di quegli anni tutt’altro che privi di scossoni. Allora, via, verso la libertà. Piena, sfrenata, illimitata. Di fare e di pensare. Soprattutto, di invitare la ragazze in quella soffitta trasandata, dalle crepe sul muro e le macchie di sporcizia. Il covo perfetto per l’iniziazione alla vita.


Il mondo di Sandro ruota attorno a un gruppo di amici: c’è Clara dagli occhi blu, c’è il tipografo Ivan, c’è Marco (il suo miglior amico), c’è l’operaio Renato, c’è il macho Alfredo (affascinante, capelli lunghi e fluttuanti, sguardo penetrante, un tipo carismatico dalla forte abilità oratoria, fidanzato a volte sì e a volte no), c’è Andrea, riflessivo e silenzioso. E c’è Sara, biondina dai lineamenti dolci, il viso sottile e gli occhi profondi. Il vero motivo del “covo” in Cittavecchia. C’è dell’altro che “cova” sotto la pelle di Sandro e dei suoi amici: la passione politica fatta di interminabili file di libri e il malessere agitato dei vent’anni. L’impressione che la vita scorra via senza riuscire ad afferrarla, l’idea di essere vuoto, senza identità e carattere, senza futuro, la ferrea volontà di voler cambiare un mondo che stritola, la voglia di far esplodere una società ingiusta, troppo poco proletaria, la lotta all’imposizione di una “cultura appannaggio della classe dominante che la utilizza per il mantenimento dell’ordine costituito”. Per questi nobili afflati e per questo malessere soffocante esiste il Movimento extraparlamentare: il leader riconosciuto è Alfredo l’oratore, Sandro e suoi amici vi aderiscono. Nella sala dalle poche sedie e dal grande tavolo di legno presa in prestito dal Partito (Comunista) si disegna il futuro di Trieste, dell’Italia, del mondo intero: le scuole e le università, che privilegiano i figli delle famiglie benestanti, devono scoppiare di rivolta, le fabbriche e le strade devono esplodere sotto i colpi della classe operaia che si prepara a prendere il potere per quanto i padroni hanno sottratto: lavoro, dignità, vita. Senza guardare in faccia a nessuno, disconoscendo il Partito, fastidioso fratello maggiore, e i sindacati, oramai servi del potere.


La battaglia universale per i diritti degli operai e degli studenti ha inizio: finirà nel sangue. E finirà per annientare il gruppo di amici: la battaglia fatta di volantini e supponenza per salvare i mille posti di lavoro ai cantierini del San Marco li vedrà sconfitti, non salvatori. La boria dei giovani, le parolone di saccente sicurezza smontate dalla stizza e dallo scherno degli operai. L’impatto con la vita vera li ha schiacciati. “Ci poniamo dei traguardi così sconfinati perché non sappiamo raggiungere neanche i più modesti e tuoniamo slogan grondanti di rabbia e indignazione solo per poter poi sussurrare dolci parole a delle labbra tremolanti”, ammette Sandro. Progetti grandi per evitare quelli piccoli, i più semplici, i quotidiani. Dal Movimento ci si aspetta la soluzione di tutto, l’apoteosi assoluta. Non cercare di migliorare un po’ alla volta quello che non va nelle piccole cose di ogni giorni: a casa, nella società, all’università. No, bisogna addirittura cambiare il mondo. Ambizioso come progetto. Troppo. Così è troppo complicato, per Sandro, essere felice. Complicato al punto di decidere di mollare tutto, anche la sua soffitta ammuffita. Inutile, per Alfredo, che piglierà quella benedetta laurea, accetterà di lavorare nella ditta del padre, lanciatissimo verso una carriera politica (e non nel Partito bensì nei Socialisti). Impossibile per Sara, che come simbolo di emancipazione e realizzazione personale sceglierà la famiglia, un figlio. Insopportabile per Andrea, che se ne andrà verso altri mondi. Intollerabile per Marco, per cui l’unica lotta giusta è quella impietosa fino al limite estremo. In due parole, clandestinità e Brigate rosse. L’età del gioco è finita e li ha travolti.


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