E il quieto Piero Marussig portò con sé da Parigi una pittura fatta di musica

di Franca Marri «Quieto e taciturno», così lo descriveva Mario Sironi negli anni Trenta, «di formazione eclettica ed erratica», notava sempre in quegli anni Ettore Somarè; capace di realizzare una...
Di Franca Marri

di Franca Marri

«Quieto e taciturno», così lo descriveva Mario Sironi negli anni Trenta, «di formazione eclettica ed erratica», notava sempre in quegli anni Ettore Somarè; capace di realizzare una pittura di una «intellettualità sottile, penetrante armoniosissima e perciò musicale» osserverà negli anni Ottanta Giorgio Mascherpa, seguito in anni più recenti da Elena Pontiggia che paragonerà la sua espressione artistica a una musica da camera. Piero Marussig, pittore triestino vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento, ha sempre affascinato artisti e studiosi per il suo originale linguaggio espressivo capace di rielaborare le molteplici suggestioni del suo tempo in forma sempre nuova e personale. A lui è dedicata l'ultima monografia della Fondazione CRTrieste per la cura di Alessandra Tiddia, triestina, conservatrice del Mart di Trento nonché curatrice di importanti rassegne espositive.

Rispetto alle altre pubblicazioni, anche recenti, come ad esempio il catalogo generale curato nel 2006 da Claudia Gian Ferrari, Nicoletta Colombo ed Elena Pontiggia, o lo stesso catalogo della mostra che si tenne sempre nel 2006 al Museo Revoltella di Trieste, il nuovo volume della Fondazione CrTrieste, si distingue per il taglio critico più attento alla prima fase dell'artista e ai possibili intrecci con diversi pittori dell'area mitteleuropea.

Inoltre, anche in merito al catalogo delle opere (si contano più di 800 dipinti), sono da segnalare nuove importanti integrazioni e identificazioni soprattutto per quanto riguarda i dipinti sparsi un po' per tutto il mondo: dalla Russia all'America Latina, dalla Francia alla Scandinavia.

Nato a Trieste il 16 maggio 1879, Piero Marussig a metà degli anni Novanta è iscritto alla Scuola Industriale Alessandro Volta, ricevendo i primi insegnamenti di pittura dal maestro Eugenio Scomparini.

Nel 1898 si iscrive all'Accademia di Belle Arti di Monaco dove tenevano le loro lezioni Franz von Stuck e Franz von Lenbach, i quali avranno grande importanza sul giovane allievo triestino soprattutto per quanto riguarda i suoi primi approcci alla ritrattistica.

Si reca quindi a Roma: «Vivevo il più delle giornate nei musei, nelle pinacoteche - racconta in un'intervista degli anni Venti lo stesso Marussig -. Di quel che si faceva intorno a me mi importava poco o niente. Amavo i classici, volevo rendermi ragione dei segreti della loro pittura».

Eppure, come suggerisce Alessandra Tiddia, probabilmente il pittore non dovette rimanere indifferente alle sperimentazioni divisioniste dei suoi contemporanei Boccioni, Severini, Balla ancora in fase prefuturista.

Sarà tuttavia soltanto a Parigi, dove si trova tra il 1905 e il 1906, che il pittore triestino si sentirà veramente libero di esprimersi: «Io ho cominciato a dipingere dopo essere stato a Parigi - afferma infatti nella già citata intervista -. E debbo dire che a Parigi ho capito la pittura moderna».

A Parigi, nel 1905, egli forse vede la mostra al Salon d'Automne che segna il debutto di Matisse e dei Fauves; a Parigi sicuramente trova la sua tavolozza che da lì in poi prediligerà gamme cromatiche comprese tra i rosa e gli azzurri, con gialli e verdi acidi, gli aranci che insieme ai bianchi illuminano la composizione. E ancora, nella capitale francese riceve gli stimoli giusti per affrontare la pittura di paesaggio.

Tornato a Trieste dipinge la sua villa, il suo giardino ricco di piante anche rare, affacciato sul golfo, i suoi amici, i suoi parenti: il suo "paradiso ritrovato". Sperimenta nuove soluzioni espressive riguardanti sia le tonalità cromatiche sia il tipo di pennellata. Realizza ritratti e paesaggi quasi interamente giocati sui toni freddi dell'azzurro e del verde, volge ad uno stile che lui stesso definisce "espressionista".

In questi primi anni del Novecento rimedita sicuramente su ciò che ha visto a Monaco, Roma e Parigi ma allo stesso tempo potrebbe anche guardare a quanto stava allora realizzando la scuola degli impressionisti sloveni con Rihard Jakopi›, Ivan Grohar, Matija Jama e Matej Sternen. L'autrice della monografia nota infatti come ci siano singolari coincidenze stilistiche e tematiche tra le loro opere, in particolare quelle di Grohar, e quelle di Piero Marussig, ricordando anche che nel 1907 il Circolo artistico triestino aveva ospitato proprio questo gruppo di pittori sloveni.

Dopo aver partecipato nel 1906 alla grande Esposizione di Milano organizzata in occasione dell'inaugurazione del nuovo valico del Sempione, nel '10 espone le sue opere prima a Vienna, alla mostra della Secessione, poi a Capodistria insieme a Antonio Camaur e Ruggero Rovan.

Sia con Camaur che con Rovan, per Alessandra Tiddia, esisteva non solo un legame d'amicizia ma anche un desiderio di confronto e di reciproco scambio come pare venir avvalorato dai due autoritratti di Camaur e Marussig, quasi speculari tra loro, o dalla scultura di Rovan intitolata "La pensosa" e "Un pensiero" di Marussig, un busto femminile in gesso brunito, tra le poche sculture note del pittore. Con Camaur lo doveva inoltre accomunare la frequentazione dell'ambiente artistico viennese, in particolare quello della Secessione dove Marussig ritorna ad esporre anche nel 1911, 1912 e 1914.

Nel 1913 espone pure alla II Esposizione nazionale di belle arti di Napoli e alla I Esposizione internazionale della Secessione di Roma. Proprio in questi anni Piero stilisticamente decide di spingersi ancora oltre adottando una piena saturazione dei colori e una pennellata dalla funzione costruttiva, per dipingere una sua originalissima "Polinesia mitteleuropea", come l'ha definita Elena Pontiggia, in cui convergono le suggestioni di Gauguin e di Van Gogh.

Trascorsa la prima guerra mondiale, nel novembre del '19 espone una cinquantina di dipinti alla Galleria vinciana di Milano, dove di lì a poco, visti anche gli ottimi riscontri, deciderà di trasferirsi. Insieme a Trieste abbandona l'inclinazione espressionista e le suggestioni dell'area mitteleuropea.

Sarà la lezione di Cézanne a riportarlo inizialmente all'ordine, a fargli recuperare la solidità dei volumi e la sobrietà dei colori, in un ritorno alla classicità che ha il sapore del Rinascimento italiano. Sarà quindi l'esposizione del '22 alla Bottega di Poesia di Milano che farà entrare Piero Marussig nel Gruppo dei 7 pittori di Novecento insieme a Funi, Oppi, Dudreville, Malerba e Sironi, sostenuti da Margherita Sarfatti e Lino Pesaro. È il momento della svolta: oltre alla partecipazione alle varie Biennali di Venezia, insieme al gruppo Novecento ha modo di esporre a Londra, Parigi, Pittsburg, Ginevra, Amburgo, Amsterdam, Buenos Aires, Montevideo, Helsinki, Stoccolma, Oslo, Praga, Budapest.

Muore nel 1937, dopo aver dato nuova prova della sua continua voglia di sperimentare e di evolvere nel proprio stile, realizzando una serie di nature morte in cui il tessuto pittorico si fa "denso, tragicamente intriso di luce", come osserverà Massimo Carrà.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Piccolo