Enrico Vanzina e suo fratello Carlo «Racconto la forza della famiglia»

Ciò che avvicina il grande schermo alla vita è l’elemento umano o, per dirla con le parole dello sceneggiatore Enrico Vanzina, figlio del grande regista Steno, uno dei fondatori della commedia Italiana, è «la commozione e l’amore che la famiglia sa consolidare e cristallizzare». Autore di oltre 120 sceneggiature, firma di migliaia di pezzi giornalistici, libri, lettere...Enrico Vanzina si è trovato quasi impreparato al successo che il suo “Mio fratello Carlo” (HarperCollins) sta avendo: «Non mi era mai successo di scrivere così; credo che questo sia stato l’ultimo regalo di Carlo, scomparso 14 mesi fa, il quale me l’ha dettato improvvisamente all’orecchio. Non volevo scrivere, ma mi sono svegliato una mattina posseduto dall’esigenza di portare sulle pagine la storia non di un personaggio, Carlo Vanzina, ma quella di Carlo, un uomo gentile, buono, timido e melanconico, nella scena sempre un passo indietro, nella vita sullo sfondo. E credo sia questo che toglie il fiato a quanti lo leggono tra le mie righe: dietro un libro crudele, la storia di una malattia terminale che ci strappa l’affetto di un familiare, dietro l’elaborazione del lutto, c’è una grande storia d’amore, che poteva essere quella di chiunque, di due fratelli così uniti come siamo stati io e Carlo, come di due amanti o di un genitore con il figlio». E torna sulla famiglia Vanzina, albero maestro nella sua vita: «Scrivere aiuta a sconfiggere la morte, anche quella già annunciata, come nel caso di mio fratello. Al centro della mia storia ci sono il peso dei ricordi e la forza della famiglia, entità sempre più spesso dimenticata ma quantomai importante, perché che nella difficoltà più grandi rimane ancora l’unica risorsa a cui attingere per sopravvivere e superare la disperazione». Un percorso di rinascita, nel quale il ricordo diventa essenza: «Le perdite in realtà ti riconsegnano l’essenza di qualcosa, che lentamente si metabolizza e si cristallizza dentro; io accanto a me ho l’essenza di Carlo, la cui morte ha eliminato i momenti quotidiani inutili, come fa il cinema tagliando le scene superflue». Le sue lacrime di commozione, balsamo umanissimo e delicato, irrorano una ferita costantemente aperta, che continua a lacerarlo mentre parla e cerca di rendere comprensibile all’esterno un rapporto intimo ed inesplicabile, quello tra due fratelli, due compagni di vita e avventure, due colleghi di lavoro che hanno scritto 40 anni di storia del cinema italiano e segnato le vite di più di una generazione di pubblico, attori e critica.

Fr.Pes.

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