Frida e la Morte un dialogo libero

Operetta amorale di Vanna Vinci sulla Kahlo
Di Alessandro Mezzena Lona

di ALESSANDRO MEZZENA LONA

Frida Kahlo non ha vissuto una volta sola. A rileggere la sua biografia viene la tentazione di pensare che nel corpo desiderato, amato, martoriato, della pittrice messicana, morta a 47 anni, in realtà abbiano abitato più persone. Donne coraggiose e fragili, visionarie e spaventate, gelose e trasgressive, piene di sogni e testardamente attaccate alla realtà.

Tutte quelle vite, rinchiuse in una vita sola, non potevano non attirare l’attenzione di Vanna Vinci. L’autrice di storie disegnate bellissime come “Aida al confine” e “Il richiamo di Alma”, la creatrice di un personaggio geniale come la Bambina Filosofica, la raccontatrice di biografie illuminanti come “La Casati. La musa egoista” e “Tamara De Lempicka. Icona dell’Art Déco”. E infatti, la disegnatrice di Cagliari, che vive a Bologna, ha dedicato a Frida Kahlo lunghi anni di ricerca, di letture, di approfondimenti.

Ma non bastava. Perché Vanna Vinci voleva trovare la chiave che le permettesse di far rivivere Frida Kahlo in tutta la sua complessità. Portando in luce le illusioni e disillusioni, le contraddizioni. Il dolore patito in un corpo martoriato, crocifisso dagli incidenti, dalle patologie conseguenti, dalle complicazioni che l’hanno portata a vivere lunghi periodi da inferma. Ma, nello stesso tempo, spingendola a ribellarsi alla condizione di malata cronica. Sollecitandola a innamorarsi, a trasformarsi in oggetto del desiderio. A superare le barriere di un’educazione perbenista.

E l’ha trovata, quella chiave, Vanna Vinci. Realizzando un’opera che sarebbe riduttivo definire graphic novel, dove i tempi della narrazione si frantumano, esplodono, corrono verso traiettorie liberissime. Una biografia, “Frida” (pubblicata da 24 Ore Cultura, pagg. 160, euro 22,90), che l’autrice ha voluto sottotitolare “Operetta amorale a fumetti”. Per il suo tono totalmente trasgressivo. Per l’impostazione che va al di là degli schemi tradizionali.

Sì, perché ad aiutare Frida Kahlo a ripercorrere la sua vita è la Signora in Nero. Una Morte che non fa paura, che può assumere le sembianze di tutto quello che vuole. Anche se, sotto tutti i suoi travestimenti, si scorge sempre il profilo ossuto e inquietante di un teschio. Ma per la pittrice messicana, è sempre stata una fedele compagna di viaggio. Un’appassionata e intelligente partner di conversazioni che riempivano i lunghi periodi in cui Frida era costretta a rimanere immobile a letto. Dopo il terribile incidente che la portò a un passo dalla fine dei suoi giorni.

Più che una biografia, questa, diventa un’autobiografia. O un dialogo appassionato, in cui la pittrice ripercorre insieme alla Morte le tappe della sua breve, turbinosa vita. Figlia di un fotografo, che era nato in una famiglia ebrea di origine ungherese, e di una benestante messicana di origini spagnole e amerinde, Frida Kahlo si sentiva figlia della rivoluzione. E fin da ragazza, per imparare l’arte della fotografia e della pittura, era stata un’appassionata allieva prima del padre e poi di Diego Rivera. Proprio a quest’ultimo legherà gran parte della sua vita. Costruendo con lui, molto più vecchio di lei, un amore capace di sopravvivere ai mille tradimenti, ai silenzi e alle incomprensioni. Alla comparsa di altre donne, tante, e di altri uomini.

Ma Vanna Vinci non ha seguito solo il divenire umano di Frida Kahlo. Nei dialoghi dell’artista con la Morte, infatti, mette a fuoco il suo attaccamento profondo alla cultura messicana, alla politica, i ragionamenti sul ruolo della donna nella società e nel mondo della cultura. Il tutto illuminato dalla capacità di pensare seguendo la via maestra della libertà. Come se Frida si specchiasse in se stessa, riflettendo il mondo.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Piccolo