Gregor von Rezzori ultimo charmeur dell’Europa che fu

Nel centenario della nascita del poliedrico artista torna il romanzo “La morte di mio fratello Abele”
Di Elisabetta D’erme

di Elisabetta d’Erme

“I morti tornino al loro posto!” grida il regista Louis Malle alle comparse del film/pastiche “Viva Maria!” (1965), invitandoli a ripetere una scena di battaglia della rivoluzione messicana....

Sul set, accanto a Brigitte Bardot e Jeanne Moreau, c'è lo scrittore Gregor von Rezzori, che interpreta il ruolo di se stesso, ma anche di Diogene. Era al seguito della troupe in qualità di giornalista e finì per ottenere una piccola parte. L'esperienza permise a quell'apolide charmeur di rivelare curiosi retroscena della pellicola in un libro dove sparò a zero sui miti del cinema.

Quest'anno ricorre il centenario della nascita di Gregor von Rezzori, poliedrico personaggio che fu anche attore ed artista. Nacque infatti il 13 maggio del 1914 a Czernowitz, in Bucovina, territorio all'epoca sotto l'impero austro-ungarico e oggi diviso tra la Romania e l'Ucraina, e che era, come scrisse Ladislao Mittner, “un particolarissimo amalgama politico e culturale, in cui ruteni, rumeni, polacchi ed ebrei convivevano caoticamente, ma pacificamente, sotto l'insegna più o meno protettrice dell'aquila bicipite” e che Rezzori mitizzò nei suoi romanzi.

Gregor von Rezzori (il cui vero nome era Gregor Arnulph Hilarius d'Arezzo) aveva anche un nonno triestino, era un vero cosmopolita e proveniva da una famiglia con ascendenze ungheresi e siciliane, romene e irlandesi. Visse in diversi paesi dell'Europa centro-orientale e, dagli anni Sessanta in poi, tra Roma e Parigi, con soggiorni in Grecia, negli Stati Uniti e in Toscana, dove morì nel 1998 nella tenuta di Santa Maddalena a Donnini.

Cresciuto nell'estrema provincia asburgica, in una terra di confine tra due imperi e due civiltà, Rezzori divenne l'ironico cronista ma anche il testimone arguto e malinconico di un mondo ch'è stato spazzato via da due conflitti mondiali.

In occasione del centenario della nascita, la casa editrice Bompiani ripropone ora il suo romanzo monstre “La morte di mio fratello Abele” per la traduzione e cura di Andrea Landolfi e con una introduzione di Claudio Magris (pagine 748 euro 25).

Il romanzo uscì in Germania nel 1976 ed ebbe una prima traduzione italiana nel 1988, che ora Landolfi, amico e studioso dell'autore, ha rivisto e corretto per questa nuova edizione. Roberta Marchetti delle Edizioni Studio Tesi ricorda Rezzori come il “meraviglioso Grisha, il più affascinante e divertente dei nostri autori.

“Storie di Magrebinia”, “La morte di mio fratello Abele” e “Un ermellino a Cernopol” furono tutti libri da noi pubblicati. E quanti bellissimi ricordi delle presentazioni in giro per l’Italia, il Premio Elba, il premio Scanno… le estati a Cortina, a Donnini e a Rodi…..”

“La morte di mio fratello Abele” è la storia di uno scrittore, vendutosi al cinema, che tenta di scrivere un romanzo in cui sono narrati cinquant'anni di storia europea, dal 1918 al 1968, attraverso vicende grandi, piccole e microscopiche che si muovono su diversi piani narrativi, stilistici, geografici e temporali.

Con una scrittura digressiva, spesso molto sensuale, che da più parti è stata definita barocca, Rezzori racconta gli anni della morte dell'Europa e della sua precaria rinascita. Infatti, come suggerisce Claudio Magris, il barocco è l'essenza dell'Austria asburgica, fedele immagine d'un moderno mondo dell'inautentico e dell'artificio.

In questo suo romanzo semi-autobiografico, ma anche nell'opera postuma “Kain. Das letzte Manuskript”, Gregor von Rezzori riesce quindi a descrivere la “condizione epigonale” dell'uomo contemporaneo.

Questa proposta editoriale è dunque un invito a riscoprire uno scrittore oggi dimenticato, ma che era stato molto apprezzato in Italia negli anni Sessanta/Ottanta, anche come brillante autore di resoconti giornalistici dal bel mondo, di ricette di cucina, di articoli di costume, analisi politiche e reportage (peraltro collaborò per quasi dieci anni a Il Giornale di Montanelli).

Gregor von Rezzori, che gli amici chiamavano “Grisha”, ebbe una vita molto avventurosa. Aristocratico, amava le frequentazioni mondane, viaggiò e fece tanti mestieri diversi, il soldato, l'artista, il giornalista, l'autore di programmi radiofonici e il disegnatore.

Come romanziere, tra i suoi libri più celebri (oltre a quelli citati) ricordiamo anche “Edipo vince a Stalingrado”, “Fiori nella neve” e “L'attesa è magnifica”. In qualità di attore, sceneggiatore e produttore cinematografico lavorò con personaggi del calibro di Marcello Mastroianni, Jeanne Moreau, Brigitte Bardot, Anna Karina, Maria Schell, Charles Aznavour, Louis Malle, Jean-Claude Carriére e Voelker Schloendorff.

Rezzori ebbe tre bellissime mogli, la prima fu Priska von Tiedemann, ebrea berlinese che gli ispirò il libro “Memorie di un antisemita” (1979), la seconda fu la pittrice Hanna Axmann con cui è ritratto nel giorno di nozze con una acconciatura di teste d'aglio (contro i vampiri e il malocchio), e la terza fu la gallerista Beatrice Monti della Corte, che conobbe nel 1967 a Salò durante una festa della Feltrinelli. Fu un colpo di fulmine.

Beatrice von Rezzori ricorda che durante quel primo incontro “Grisha” gli apparve come “un personaggio, super-intelligente, con un passato tempestoso, senza patria, senza radici e senza soldi" e che si presentò a lei senza calzini e con le mani piene di amuleti.

Una volta sposati decisero che il “senza patria” aveva bisogno di fermarsi, d'un pezzo di terra e di radici. Venne quindi acquistato un casolare con tanto di torre trecentesca a venti minuti da Firenze.

Lì, tra una distesa di ulivi, il frinire ininterrotto di cicale e una vista emozionante, Rezzori trascorse gli ultimi anni della sua vita, trasformando Santa Maddalena in un punto di incontro d'intellettuali celebri, tra cui Michael Ondaatje, Robert Hughes, Edmund Wilson, Zadie Smith e David Hockney.

La torre di Santa Maddalena divenne uno dei rifugi preferiti dell'inquieto viaggiatore Bruce Chatwin, che aveva trovato in “Grisha” una figura paterna a cui fare riferimento.

Gregor von Rezzori era infatti capace di leggere cosa si nascondeva dietro i lati snobistici, irritanti e mutevoli del carattere di Bruce Chatwin, verso il quale nutriva “un'indulgenza tinta di tenera malinconia” come scrisse nel libro di memorie ”Sulle mie tracce”.

Dopo la morte di Rezzori nel 1998, Beatrice Monti ha istituito una fondazione ed ora il casale di Donnini offre ospitalità a scrittori in cerca del silenzio e della pace indispensabili per inventare, per scrivere.

Nei vari, diversi, “ruoli” che Gregor von Rezzori interpretò nel corso della sua vita, egli conservò sempre con cura la sua immagine di nostalgico gentiluomo cosmopolita e poliglotta (parlava correttamente otto lingue) a suo agio in ogni angolo del mondo.

Come il protagonista di “La morte di mio fratello Abele”, anche Rezzori cercò di ricomporre la sua sfaccettata e poliedrica identità attraverso la finzione letteraria. D'altronde, raccontare se stessi nella scrittura, non è forse nient'altro che un disperato tentativo d'evocare il passato, e far sì che i morti tornino al loro posto?

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