Il cult “Uomini e topi” riscritto visivamente dalle illustrazioni di Rébecca Dautremer

TRIESTE
“Uomini e topi” è un romanzo duro e romantico. Molti sono stati conquistati e turbati dal racconto singolare e patetico del complesso rapporto che lega, nella California degli anni Trenta, due poveri braccianti, George e Lennie – il primo dei quali sfrutta e protegge l’altro che è dotato di straordinaria forza fisica ma è semplice e ingenuo.
Magistrale la narrazione condotta da John Steinbeck che non rinuncia a trattare i problemi sociali dell’epoca e a denunciarli. Una storia piena di dialoghi e di scene costruite con un grande pathos che arriva dall’universo psicologico dei personaggi, figure di perdenti, diseredati e inconcludenti, aggrappati al sogno di una vita migliore.
Trasformare questo romanzo in un fumetto non è impresa facile, non fosse altro perché Steinbeck descrive ogni passaggio con una dovizia di particolari che rischiano di lasciare ben poco all’immaginazione di un artista. Impresa ardua ma non impossibile se a impugnare la matita è una fuoriclasse come Rébecca Dautremer, l’illustratrice francese molto attiva nella produzione di fumetti e graphic novel e amata anche in Italia. Arriva adesso in libreria il suo straordinario “Uomini e topi” (Bompiani, pp. 420, euro 40) nella traduzione dello scrittore Michele Mari. Fin dalle prime pagine le tavole dedicate ai paesaggi malinconici di quella California che Steinbeck conosceva bene perché vi era nato ci vengono restituite con inquadrature virate in color seppia in cui godere la dolcezza del fiume e i giochi di sfumature delle foglie dei salici e dei sicomori. Poi sul sentiero compaiono i due protagonisti: George, affilato, piccolo e veloce, e l’enorme Lennie, che si muove pesante strascinando i piedi come fossero le zampe di una bestia sorniona. Lennie, che soffre di una sorta di minorazione psichica ed è posseduto dallo strano desiderio di maneggiare oggetti morbidi come, ad esempio, i topi e i conigli, vede in quegli animaletti dei giocattoli che a lui piace accarezzare ma che poi, non riuscendo a gestire la sua forza, finisce immancabilmente per schiacciare o soffocare.
I suoi pensieri e il suo mondo tenero e malato sono quelli di un bambino che Rébecca Dautremer rende sotto forma di disegni infantili e fumetti chiassosi e coloratissimi. George aiuta l’amico, sfruttandone l’energia e guidandolo: entrambi sono legati dal sogno di possedere un giorno una propria fattoria e i loro dialoghi squilibrati, fatti dei ragionamenti furbi di George e delle sciocche ripetizioni di Lennie, diventano fitte sequenze da storyboard dipinte all’acquerello e poi ripassate con olio di garofano, raschiate, macchiate e tamponate. In cerca di lavoro, i due raggiungono il ranch di Salinas Valley: i nuovi personaggi che cominciano a ruotare intorno a loro compaiono come le figure delle carte che George mescola giocando al solitario. L’ingresso del capo-mulattiere Slim è disegnato come il movimento sinuoso di una danza ipnotica: «Riusciva a uccidere una mosca sul didietro del mulo di ruota con la punta della frusta senza toccare la bestia. Nei suoi modi c’era una gravità e una calma così profonda che quando parlava ogni chiacchiera cessava».
Poi nello stanzone l’atmosfera si fa cupa: i lavoranti convincono, non senza fatica, il vecchio guardiano della fattoria da un braccio solo a sopprimere il suo malandato e puzzolente cane. La tensione continua con l’arrivo della moglie del padrone, una donna provocante e pericolosa che appare da subito come la minaccia che scatenerà la tragedia: tutti gli uomini del ranch, diventati piccoli piccoli, scivolano nelle pieghe del suo vestito succinto e finiscono col precipitare nel fondo dei pois rossi dell’abito. Con sensibilità e padronanza di tutte le tecniche pittoriche, senza alcun ricorso a Photoshop, Dautremer riesce a far suo il romanzo e ci regala un’indimenticabile e struggente fiaba drammatica da collezionare. —
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