Il delitto si svela “Nel guscio”

È ispirato all’Amleto di Shakespeare l’ultimo romanzo di Ian McEwan
Di Pietro Spirito

di PIETRO SPIRITO

«Oddio, potrei anche essere confinato in un guscio di noce e sentirmi il re di uno spazio infinito - se non fosse la compagnia di brutti sogni». Nella citazione dall’Amleto di Shakespeare in esergo al suo ultimo romanzo, c’è tutto il genio di Ian McEwan. “Nel guscio” (Einaudi, pagg. 173, Euro 18,00) è un viaggio nella follia eterna e contemporanea dell’uomo, compiuto da un moderno Amleto non ancora nato, appunto confinato in un guscio che è il ventre della madre dove si sente ed è il re di uno spazio infinito popolato però dagli incubi della realtà.

Siamo ai nostri giorni, in un’Europa «in piena crisi esistenziale, debole e litigiosa» che «cova nazionalismi compiaciuti che sorseggiano la stessa buona birra» in una «confusione di valori», con «il bacillo dell’antisemitismo in eterna incubazione, le moltitudini dei migranti esauste, inferocite, stanche». Nella grande casa georgiana su Hamilton Terrace, vecchia e decrepita ma di inestimabile valore, la giovane Trudy sta portando a termine la sua gravidanza. Il padre del nascituro nonché marito di Trudy, il poeta illuso e sconosciuto John Cairncross però non c’è, allontanato dalla moglie con la scusa di una crisi di stanchezza coniugale. La verità è che Trudy è l’amante di Claude, fratello di John, di mestiere agente immobiliare con la sensibilità di un rinoceronte ma la foga sessuale di un toro. I due fedigrafi cognati, Trudy e Claude, ordiscono l’assassinio di John Cairncross per toglierselo di mezzo e accaparrarsi la nobile dimora, e l’azione si fa urgente non appena diventa chiaro che l’ onesto poeta sognatore è perfettamente a conoscenza della tresca tra il fratello e la moglie. In un crescendo di tensione Trudy e Claude mettono a punto un piano che pare infallibile, ma che, come in ogni detective story che si rispetti, non fa i conti con il caso e con il fiuto dell’ispettore capo Clare Allison, assegnata al caso una volta trovato il cadavere di John.

Tutto il dramma è visto - o per meglio dire “ascoltato” - e raccontato al lettore dal nascituro, il feto che dal ventre materno segue passo passo l’evolversi dei fatti. Questo Amleto non ancora nato, ironico e saggio avendo congizione del mondo attraverso i notiziari, i documentari e i film che Trudy guarda e ascolta nei mesi della gravidanza, partecipa con angoscia a quanto accade, si interroga su come sarà nascere in un carcere qualora la madre fosse beccata dalla polizia o, al contrario, su come sarà crescere assieme a un patrigno orribile qual è Claude nel caso i due assassini riescano a farla franca.

Costretto, nel chiuso del ventre materno, a subire gli amplessi del suo focoso amante, edotto sui vini migliori - e spesso reso brillo - dalla mamma troppo attaccata alla bottiglia, il feto parteggia per il padre poeta e vittima ma nulla può fare se non tirare ogni tanto un calcio a questa genitrice che non può non amare ma che già detesta. Dal chiuso del sacco amniotico il mondo esterno non lesina i suoi umori, odori e luminescenze: «Fuori da queste tiepide pareti organiche, una gelida storia scivola verso la sua odiosa conclusione. . Le nubi di mezz’estate sono fitte, non c’è luna, non un alito di brezza. Mia madre e mio zio in compenso tirano su a parole una tempesta d’inverno».

Potrebbe essere solo un divertissement questo romanzo raccontato dal punto di vista di un personaggio vivo ma che ancora non è nella vita. E invece McEwan coglie ogni potenzialità narrativa nell’organizzare una trama basata sull’origliamento, lo spionaggio, lo sguardo velato ma sempre presente che nell’Amleto shakesperiano è spesso motore dell’azione. «Immerso nelle astrazioni - riflette lo sfortunato nascituro - posso contare solo sui loro (di Trudy e Claude, ndr) proliferanti legami a catena per crearmi l’illusione di un mondo noto». E non è forse questo il compito della letteratura, ricreare l’illusione di un mondo noto? «Mi reputo un innocente, dispensato da obblighi di lealtà e doveri, uno spirito libero, a dispetto dell’esiguità del mio spazio vitale», pensa ancora il feto. E non è questo il ritratto dello scrittore, che la realtà la spia, la indaga, la svela nei suoi recessi più orridi e profondi, nelle sue inevitabili aberrazioni? Alla fine l’assistere impotente ma partecipe alla follia umana porterà il neonato, come lo scrittore, a prendere atto, una volta precipitato nel mondo, di ciò che il mondo è: «prima il dolore, poi la giustizia e infine il senso. Tutto il resto è caos».

@p_spirito

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