Il farmacista di Zara in fuga per la salvezza

Il diario di Marco Perlini scritto durante un lungo peregrinare dal 1943 fino alla fine della guerra

«Ieri, dieci novembre millenovecentoquarantatrè, nell’unico treno della giornata, premuto da tutte le parti, immobilizzato da valigie e da gomiti, in piedi per ore, ho potuto guardar soltanto fuori, soltanto lontano». Inizia così il diario-racconto di Marco Perlini “Non ho più patria” (Editrice Veneta, pagg. 159, euro 8,00), scritto su un quaderno nero dal farmacista nativo di Zara che visse l’esodo e il tempo che ne seguì in un arco temporale che va dal 1943 al 1945. «Per noi di Zara Marco Perlini è mito, uno straordinario esempio di generosità culturale, saggezza, sagacia ed arguzia tutte concentrate in un impetuoso carattere tipicamente dalmatico», scrive Piero Tony nella prefazione al volume.

Marco Perlini comincia dunque il suo diario a Fongara, primo rifugio da esiliato sempre in fuga, da adesso in poi accompagnato da un senso di estraneità che non lo lascerà più anche se grazie alla sua cultura e ai suoi svariati interessi sarà sempre una sorta di apolide, cittadino del mondo. E al senso di estrainetà si acocmpagnerà anche per tutta la vita l’idea della giustizia, e del perdono, perché «il perdono è santo finché non contraddice la giustizia; e questa è già un’idea inventata per eludere - e far fessi - sia il perdono che la giustizia».

«Tristezza e nervosità» saranno i filo conduttore del peregrinare di Marco Perlini fino all’approdo in Veneto, a Vicenza, dove dovrà inventarsi una nuova vita.

Una sua nota biografica riassume il senso dell’identità e dell’esistenza di ogni esule dalle terre cedute: «Ingannato dall’incoscienza degli italiani, depredato dalla perfetta organizzazione tedesca, esiliato dalla cosciente prepotenza degli slavi, bombardato e misconosciuto dalla raffinata scelleratezza degli inglesi e dall’infantile idiozia degli americani, io - europeo avanti lettera - sto, con scampoli e ritagli del mio spirito e della mia carne, costruendo la unità d’Europa, che si fa a spese dei grandi disgraziati e dei bastardi, come me».

Dopo il lungo peregrinare il diario termina nella primavera del ’45 con la fine della guerra. Perlini si interroga su quale sarà il suo futuro, fatto salvo un impegno di dirittura morale che non lo abbandonerà mai: «Dopo ogni insulto, dopo ogni percossa mi sento migliore di coloro che mi offendono».

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