Il Festival di Torino riscopre Giulio Questi, il Buñel italiano

TORINO. Tullio Kezich l’aveva accostato a Buñuel recensendo il giallo pop “La morte ha fatto l’uovo” (1968), film “bizzarro fin dal titolo”. E anche “Se sei vivo spara” (1967), spaghetti-western di culto adorato da Tarantino e Joe Dante, si richiamava “alla lezione del vecchio surrealista spagnolo”. Stiamo parlando di Giulio Questi, regista fra i più “maledetti” del cinema italiano, riscoperto da una decina d’anni tra festival e dvd, autore di tre titoli fra i più personali e originali fra gli anni ’60 e ’70 (oltre ai due citati, anche l’horror “Arcana” del ’72). Saranno tutti e tre proiettati nella retrospettiva che il Festival di Torino dedica nei prossimi giorni al “Buñuel della Val Brembana” (stavolta la definizione è di Oreste Del Buono), per festeggiare i suoi vitalissimi 90 anni. Ancora attivo di recente nel cinema digitale (il mediometraggio “Lola” è del 2009) dopo una longeva e versatile carriera (anche di attore) fra grande schermo e tv, Questi si racconta in un’autobiografia ora in libreria, intitolata “Se non ricordo male” (Rubbettino, pagg. 193, euro 14), a cura di Domenico Monetti e Luca Pallanch. La sua vita avventurosa si intreccia con le rutilanti vicende della cultura e del cinema italiani del dopoguerra. Partigiano, laureato in lettere con una tesi su Dino Campana, fonda a Bergamo la rivista di politica e cultura “La Cittadella”. Incrocia quindi Vittorini e Visconti, Le Corbusier e Orson Welles, Ferreri e Zurlini, Maselli e Antonioni. Diventa documentarista premiato e attore d’occasione per Fellini e Germi. Poi incontra lo sceneggiatore e montatore Kim Arcalli e insieme – coppia geniale e irriverente, noti come “Jules e Kim” parafrasando Truffaut - scrivono e realizzano i tre titoli citati all’inizio. Danno vita così a una sorta di cinema pop italiano, violento, stravagante e innovativo, che oggi ha fatto diventare Questi un mito in tutto il mondo della rivalutazione e dello sdoganamento “stracult” dei film di genere italiani. Sempre autoironico e lucido, il regista dice: «Quando, dopo tanti anni di oblio, c’è stato un sorprendente ritorno dei miei film nel boom dei dvd, mi è venuto da pensare: ‘I film muoiono, i generi sopravvivono’».
Paolo Lughi
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