Il futuro è nel passato dalle tribù dei primati all’intelligenza artificiale

il saggio
Un futuro in cui saremo dominati dalle macchine, visto che, «a pensarci bene stiamo attivando, nelle macchine, meccanismi analoghi a quelli nati nel nostro cervello nel tardo Pleistocene, quando abbiamo socializzato anche prevedendo le azioni e i pensieri dei nostri simili». Se è così, se «stiamo attivando nelle macchine intelligenti, gli stessi meccanismi che avevano contribuito alla formazione del nostro organismo sociale», allora stiamo diventando «una nuova specie ibrida», anche se nessuno sa esattamente cosa ci succederà in futuro. Un futuro per sbirciare il quale non serve guardare avanti, ma anzi è meglio cercare indietro, indagare il tempo profondo, andare alle origini della nostra specie. Perché è seguendo il percorso evolutivo di Homo sapiens che possiamo meglio comprendere i meccanismi che ci hanno portato dove siamo e che continuano a spingerci avanti. È quanto hanno fatto Claudio Tuniz e Patrizia Tiberi Vipraio nel libro “La scimmia vestita - Dalle tribù di primati all’intelligenza artificiale” (Carocci editore, pagg. 217, Euro 21,00). Saggio scientifico che non rinuncia a un taglio polemico da pamphlet, il libro di Tuniz e Tiberi Vipraio offre al lettore un affascinante viaggio nel tempo profondo portandolo a sbirciare nel tempo futuro. Claudio Tuniz è scienziato da Centro internazionale di Fisica Teorica di Trieste, mentre Patrizia Tiberi Vipraio è docente di Economia internazionale in diverse università fra cui Trieste e Sidney: i due autori hanno messo insieme le rispettive discipline e competenze per tracciare un quadro d’insieme sulla nostra evoluzione, tenendo come perno un’ipotesi sempre più sostenibile: «quella della progressiva autodomesticazione della nostra specie», secondo un processo iniziato lentamente e accelerato negli ultimi centomila anni «grazie a innovazioni cerebrali e comportamentali che hanno portato, in noi sapiens, a un aumento frenetico della socialità», ora sempre più affidata alle macchine intelligenti. Dalla biodiversità del “cespuglio evolutivo”, che vedeva varie specie umane calpestare il pianeta, fino alla prevalenza assoluta dei sapiens, nella galoppata attraverso i millenni gli autori portano a scoprire la quotidianità degli ominidi e la loro progressiva marcia verso il futuro che è il nostro presente. Al di là dei capisaldi fondanti di questo processo evolutivo, come l’acquisizione del pensiero simbolico, cioè la capacità di rappresentare qualcosa con un’altra cosa, e che accompagna la nascita del linguaggio e quindi della coscienza, un approccio “economico” alla storia dell’uomo, unito all’approccio scientifico, permette di seguire il modo in cui la connessione tra evoluzione biologica ed evoluzione culturale hanno proceduto di pari passo per garantire la nostra sopravvivenza. La soluzione per non soccombere, ricordano gli autori, era a portata a di mano: «bastava conservare, organizzare e trasmettere le informazioni in un nuovo cervello collettivo», in pratica un «organismo sociale che era anche un deposito di informazioni comuni sulle procedure attraverso cui aumentare le chances di sopravvivenza». Se è così, allora «non sarebbe stata la nostra intelligenza individuale a farci sopravvivere e conquistare il pianeta», ma «la nostra intelligenza collettiva», attraverso la divisione del lavoro e la realizzazione di società complesse. Analizzando alla luce delle nuove scoperte anche i mutamenti ambientali, la dieta, la cultura delle specie umane nel corso del tempo, gli autori mettono qualche punto fermo sul futuro: «Conoscendo l’età della nostra specie (...) potremmo affermare (...) che Homo sapiens sarà ancora in giro tra 5.110 e 7,8 milioni di anni». In che modo è difficile dire, senza contare che potremmo sparire molto prima «per effetto dell’evoluzione di qualche specie già esistente, oppure per l’avvento di macchine più intelligenti di noi, per l’impatto di qualche corpo celeste, o anche come conseguenza nelle nostre stesse capacità di distruzione». Seguendo un processo di auotodomesticazione sempre più affidato alle macchine, il che apre altri e non meno inquietanti scenari.
E per meglio comprendere chi siamo e dove stiamo andando, è utile sapere quali sono stati i nostri rapporti con la specie a noi più vicina, i Neandertal. In “Mio caro Neandertal - Trecentomila anni di storia dei nostri fratelli” (Bollati Boringhieri, pagg. 211, Euro 20,40) Silvana Condemi e François Savatier analizzando con taglio divulgativo le più recenti scoperte soprattutto in campo paleogenetico, ripercorrono la storia e l’evoluzione di questa specie che, ormai è un dato accertato, si è ibridata con la nostra. Anzi, per gli autori «i fratelli neandertaliani sono scomparsi fondendosi nella massa dei sapiens». Un processo rapidissimo, avvenuto nel corso di soli cinquemila anni, dovuto a più fattori. Il primo dei quali è di carattere genetico: dato per scontato che sapiens e neandertaliani si sono accoppiati, la coppia uomo neandertaliano-donna sapiens non poteva riprodursi, probabilmente perché il cromosoma Y neandertaliano era incompatibile con la gravidanza (i feti nascevano morti), mentre invece la coppia donna neandertaliana-uomo sapiens era fertile, procreando ibridi destinati a rafforzare i clan dei sapiens. Insomma i sapiens non avrebbero massacrato i Neandertal, li avrebbero solo “assorbiti”. E in qualche modo i Neandertal continuano a vivere in noi. —
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