Il giovane arbonauta che parla agli alberi e va alla scoperta di quelli da record
Ci restano duecento anni prima che l’ultimo albero sia abbattuto e bisogna correre ai ripari, altrimenti dove troveremo l’ossigeno per respirare? Lo dice uno che di alberi se ne intende. Un tree climber, uno che li scala appeso a una corda per medicarne le ferite inferte dai parassiti o per aggiustarne la chioma. Si chiama Pietro e non Cosimo come il Barone rampante, ma anche lui vive sugli alberi. Pietro Maroè, un giovane friulano di San Daniele, si è giocato le ferie per scoprire quale è l’albero più alto della nostra penisola e ci ha scritto un libro “L’azzurro infinito degli alberi. Storie di boschi monumentali e di piccole foreste” (Rizzoli, 196 pagg., 18 euro, ebook 9,99 euro) che esce oggi in libreria.
Lei ha già pubblicato un libro, 'La timidezza delle chiome', sul tema degli alberi. Come è nata questa che, prima di diventare un lavoro, deve essere una passione?
«Questione di famiglia», risponde Maroè. «Mia nonna aveva un vivaio, il nonno mi ha insegnato a riconoscere i fiori e le piante, e mio padre faceva il tree climber».
Perché ha deciso di dare la caccia all’albero più alto?
«In Italia gli alberi più alti di cinquanta metri sono una cinquantina, ma non si conosceva la loro misura esatta. Anche perché la differenza tra le misurazioni è notevole, non solo perché le piante crescono in modo differente tra loro, ma anche perché sono cambiate le tecniche per misurarle. Adesso si utilizza il laser ma il dato più preciso si ottiene sempre arrampicandosi fino in cima. Insomma eravamo curiosi, io e gli altri che mi hanno accompagnato in questa spedizione, tra cui mio padre, di trovare l’albero più alto».
E l'avete trovato, dove si trova?
«È un abete di Douglas che si trova nella Foresta di Vallombrosa, a poco più di trenta chilometri da Firenze. Misura sessantadue metri e quarantacinque centimetri. Non ci aspettavamo un risultato così sorprendente. Eravamo fermi all’Avez del Principe, in Trentino, che purtroppo è stato abbattuto dal maltempo lo scorso anno».
Qual è l’albero più alto del Friuli Venezia Giulia?
«Un abete che si trova in Carnia, vicino Tolmezzo. Misura una cinquantina di metri».
E l’albero più vecchio?
«È la farnia di Sterpo, fa parte del parco di villa Colloredo Venier a Bertiolo, e ha tra i cinquecento e i seicento anni. Nel registro degli alberi monumentali italiani c’è anche un pino del parco di Miramare».
Restando in ambito regionale, gli amministratori pubblici hanno cura per i nostri alberi?
«Direi di sì. Una legge regionale tutela gli alberi monumentali e finanzia le potature che vengono fatte. Nelle gare per l’affidamento delle opere di cura del verde i comuni danno molto peso alla tecnica della ditta e poco al ribasso. È indice di una buona attenzione, perché si cerca di selezionare le ditte con le migliori qualifiche».
Cifre alla mano, lei sostiene che gli alberi sono in pericolo, e con essi la nostra stessa sopravvivenza.
«I conti sono presto fatti: sulla terra ci sono tremila miliardi di alberi, la popolazione umana è di sette miliardi e mezzo, il che vuol dire che ci sono circa quattrocento alberi a testa. L’anidride carbonica emessa nell’atmosfera è pari a cinque tonnellate all’anno, mentre un albero ne fissa quindici chili all’anno. Quindi ci servono trecentocinquanta alberi a testa. Ogni anno abbattiamo venti miliardi di alberi e ne piantiamo cinque miliardi, così perdiamo quindici miliardi di alberi ogni anno. Insomma ogni anno diciamo addio a due alberi a testa, per cui ci restano duecento anni prima che scompaia l’ultimo. In molti Paesi lo hanno capito e stanno cercando di correre ai ripari. La Slovenia, la Francia, i paesi nordici fanno politiche volte a rendere la presenza umana più ecosostenibile ed ecocompatibile possibile perché è l’unico modo per cercare di arginare il problema. In Italia il gap con questo approccio alla cultura verde è ancora elevato».
Eppure a volte c’è un attenzione quasi all’incontrario. Capita che nascano polemiche per un albero che, pur malato, viene abbattuto.
«Non è sbagliato cercare di salvare una pianta che sta male. È sbagliato cercare di tenerla in vita a tutti i costi anche quando può rappresentare un rischio per la sicurezza. E poi una pianta malata fa meno fiori e non produce ossigeno». —
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