Il lupo, da Plauto ad Hanna & Barbera storia e simbologia attraverso i secoli

Michel Pastoureau pubblica un corposo studio sui significati  e sul rapporto contraddittorio con l’uomo moderno



Vecchio lupo, come sei cambiato. Erano i gelidi inverni del Medioevo quando ti aggiravi in branchi intorno ai miseri villaggi in cerca di preda e la gente si raccontava tremando di freddo e paura che avevi anche attaccato l’uomo per la fame che avevi. Il tuo nome andava pronunciato con prudenza, anzi, era meglio evitare di farlo. La fantasia popolare ti ha accolto e immortalato nelle parabole, come quando a Gubbio solo un santo riuscì a placare la tua rabbia, o nella paurose favole che si raccontavano ai bambini, dove divoravi Cappuccetto rosso e la nonna. Ma hai avuto anche l’onore di essere istoriato sulle vetrate delle cattedrali, come a Chartres, dove sbrani uno dei figli di Sant’Eustachio. Questo è il tuo passato. Ma ora? Ormai hai assunto sembianze innocue e quasi ridicole. Eccoti trasformato nel maldestro Lupo de Lupis, preso a pugni dal cane pastore nei fumetti di Hanna & Barbera, oppure tenero innamorato della gallina Marta nella striscia italiana di Lupo Alberto. Un affronto per l’onore dei tuoi feroci antenati.

Questo mutamento di prospettiva con cui gli umani guardano ai lupi è ben descritto nel libro di Michel Pastoureau “Il lupo” (Ponte alle Grazie, 150 pagg., euro 20), in cui l’autore, docente e studioso del simbolismo, ambito nel quale gode di un riconosciuto prestigio per quanto riguarda la storia dei colori, ha dato vita a una storia culturale del lupo, analizzando le rappresentazioni collettive con le quali l’uomo lo ha ritratto. Stemmi, simboli, credenze e superstizioni, le varie creazioni letterarie e artistiche che hanno per protagonista questo antenato del cane. Che, ci ricorda la cronaca più recente, dopo quasi novant’anni è tornato a popolare le foreste a noi vicine. Cuccioli di lupo sono nati nello scorso luglio nella zona dei magredi di Pordenone e il “lieto evento” ha provocato sentimenti contrastanti. Se c’è chi esulta perché la ricomparsa del lupo significa che la natura ha ritrovato il suo corso all’insegna della biodiversità, non si può dimenticare chi teme che molti altri animali comincino a essere in pericolo. D’altronde al lupo non si può certo chiedere di abiurare al suo istinto predatore e vivere in una sorta di coabitazione pacifica con le sue potenziali prede, diventando vegetariano. Pastoureau nota perplesso come in Francia, dopo aver reintrodotto l’animale, si pensi a “piani lupo” per abbatterne una certa percentuale perché il ripopolamento è sfuggito di mano.

Se il rapporto dell’uomo contemporaneo con la natura e con gli animali è contraddittorio, non era così nell’antichità. Nell’immaginario classico il lupo è ladro, crudele, mortifero. La massima “Homo homini lupus”, che compare per la prima volta in una commedia di Plauto e che esprime una visione pessimistica della natura umana e nel contempo ritrae il lupo sotto una luce poco lusinghiera, segna maggiormente il ritratto in negativo dell’animale. Citata e commentata da Plinio, Erasmo da Rotterdam, Nietzsche, Freud, è stata eternata da Thomas Hobbes per descrivere la natura egoistica dell’uomo e l’istinto di sopraffazione che ne guida le azioni. L’immagine protettiva che viceversa viene tramandata della lupa che allatta Romolo e Remo è in realtà solo un episodio, nell’elegante viaggio tra dipinti, manoscritti, incisioni e bestiari dello splendido corredo iconografico del libro di Pastoureau. Dove si scopre che fino al XVII secolo il lupo ha un ruolo di primo piano nella farmacopea animale e a ogni sua parte viene riconosciuta una qualche virtù curativa: il fegato essiccato guarisce tutto, gli escrementi applicati sugli occhi migliorano la vista, i suoi intestini, portati come una cintura, migliorano i flussi del ventre.

Ma il sentimento che più si lega al lupo è la paura e fino al XX secolo si manifesta in credenze e superstizioni, si nutre di eventi clamorosi, come gli attacchi compiuti a fine Settecento nelle campagne francesi dalla “Bestia del Gévaudan”, che fece un centinaio di morti. Ma con l’inurbazione e la fine della civiltà contadina il lupo ha perso il suo connotato ferino, ci si è dimenticati delle sue lunghe zanne affilate, della potenza del suo morso. E i suoi occhi fiammeggianti, un tempo diabolici, sono finiti nel logo di qualche pubblicità. —

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