Il mostro di Udine uccide le donne protetto dal silenzio del perbenismo

Members of the public unaware of man holding gun
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Dal 1971 al 1989 nove donne furono uccise nella zona di Udine: alcune si prostituivano, altre si drogavano, altre ancora avevano problemi di alcolismo: prede facili per un maniaco sessuale o un assassino. Nessun colpevole è mai stato trovato per questa lunga serie di omicidi. Per almeno quattro di essi si è ipotizzato che la mano fosse la medesima: stessa tipologie di vittime, stesso modus operandi, stessa terribile violenza. È stato ribattezzato “il mostro di Udine”, anche se non aveva niente a che fare con i più noti omicidi avvenuti a Firenze, ed è rimasto per anni intrappolato nelle brune omertose di una cittadina di provincia, fino a che Elena Commessatti, giornalista e scrittrice, autrice di una guida turistica di Udine, lo ha riportato alla ribalta. Se ne occupa dal 2008 e la sua caparbietà nel ricostruire la vicenda è sfociata prima in un giallo uscito qualche anno fa, “Femmine un giorno”, e poi è stata premiata anche dall’interesse dei media. Lo scorso maggio Sky ha mandato in onda una docu fiction in quattro puntate sul mostro di Udine, e in quell’occasione sono stati ritrovati alcuni reperti che all’epoca degli omicidi non si erano potuti analizzare a causa dell’arretratezza delle tecnologie forensi. Grazie a questi nuovi elementi è stato chiesto di riaprire il caso. Nel frattempo Commessatti ha dedicato alla vicenda un altro libro, “Agata est e il mostro di Udine”(Gaspari, pagg. 280, 18 euro), che non è una nuova edizione del precedente, ma una vera e propria riscrittura. La protagonista è una donna struggente e malinconica, investigatrice sui generis: Agata est fa la biografa di vite altrui, vive senza dover lavorare perché grazie alla sua bellezza che non passa inosservata riesce a farsi mantenere dagli uomini, ma coltiva una vena lirica e introspettiva che la porta ad amare la poesia greca. È una pin up che ha poco ha di nero, eppure finisce proiettata in una storia drammatica, in cui la sua vita patinata si scontra con la solitudine, la disperazione e la morte. Uno strano incrocio tra commedia e tragedia che ricorda i film di Pedro Almodóvar e che piaceva a Andrea G. Pinketts, lo scrittore milanese scomparso due anni fa e al quale il libro è dedicato. Negli anni che sono passati tra i due libri Agata è cambiata. Se prima era esuberante adesso, nonostante tutti ammirino ancora la sua bellezza e non vedano l’ora di portarla a cena, scruta con una certa mestizia gli abissi dell’animo. Forse perché la storia raccontata è una storia vera, in cui tutti sapevano il nome del killer, un nome di una certa importante negli ambienti “bene”’di una cittadina di provincia. La Udine della Commessatti assomiglia alla Treviso di Signore e signori, il film di Pietro Germi che alzava il velo sulle ipocrisie di una piccola città bastardo posto dove tutti sanno tutto ma non dicono niente. È una provincia capace di orrori dove tutti, accusa Commessatti, sono stati colpevoli di aver taciuto. Il killer, che ormai è morto, e quindi per la giustizia non imputabile poteva essere fermato? Forse, ma chi sapeva ha preferito starsene zitto e il perbenismo ha steso un velo di silenzio su queste donne invisibili. —



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