Ivory: «Il primo film a Venezia, da comiche»

il regista di “Camera con vista” a Incroci di Civiltà: «Ho comprato una gondola»

VENEZIA. «Venezia è il luogo dell'incanto. La sua luce, i suoi colori ogni volta mi lasciano senza fiato». Parlando di questa città a lui molto cara James Ivory, il grande regista americano di "Camera con vista" e "Quel che resta del giorno", giunto nel capoluogo lagunare per aprire Incroci di Civiltà, il Festival di Letteratura organizzato dall'Università Ca'Foscari, ha gli occhi che gli brillano. Non a caso la sua prima opera cinematografica è stata proprio un documentario sulla storia di Venezia attraverso i capolavori della pittura.

Ivory, 87 anni portati con charme ed eleganza, l'esteta di Hollywood sensibile e discreto, si lascia andare con grande generosità ai ricordi del suo primo esperimento come regista: «Quando sono arrivato a Venezia avevo un grande progetto, mostrare la storia di questa città attraverso l'arte. In realtà ho incontrato molte difficoltà tecniche perché non avevo allora con me una vera e propria troupe specializzata, ad esempio nella ripresa dei dipinti sui soffitti dei palazzi. La cosa divertente, che pochi sanno, è che impostai la velocità sbagliata della pellicola, così quando tornai a casa mi accorsi che le gondole, le persone nelle immagini che avevo girato si muovevano come nelle vecchie comiche, velocizzati. In qualche caso l'effetto era notevole, meglio che a velocità nomale. In seguito sono ritornato a Venezia per girare nuovamente gran parte delle scene troppo veloci, tuttavia alcune le ho lasciate perché il mix risultava davvero buono, e devo dire che se non avessi rivelato io questo "incidente" nessuno se ne sarebbe accorto».

Ha mai più pensato di girare a Venezia?

«Nel 2011 stavo lavorando al progetto di un film tratto dal racconto di Henry James “The Aspern papers” (Il carteggio Aspern), che è ambientato in una Venezia decadente di fine '800. Avevo pensato di trasferire la storia negli anni '50 del '900 nella città che avevo conosciuto io da giovane. Avevo già trovato le location: un palazzo bellissimo e uno splendido giardino in Rio Marin. La protagonista, una donna quasi centenaria, doveva essere Olivia de Havilland. La sceneggiatura era ormai ad uno stadio avanzato, ma poi mi sono rotto una gamba ed ho lasciato perdere completamente».

È vero che si è comprato una gondola?

«Sì, quando nel 2009 giravo “The city of your final destination”, dal romanzo di Peter Cameron. Ci serviva una vera gondola, allora l'ho comprata su eBay e ora è nel giardino della mia casa di New York».

I suoi film più belli sono tutti tratti da capolavori della letteratura.

«In buon un libro c'è tutto: trama, personaggi, atmosfera, basta trasferirli in immagini».

A cosa sta lavorando in questo periodo?

«Ho due progetti: uno è il "Riccardo II" di Shakespeare e l'altro è un film tratto da "Call me by your name", un romanzo di André Aciman, uno scrittore ebreo nato in Egitto negli anni '50, che parla italiano e ambienta quasi tutti i suoi libri in Italia anche se vive a New York».

Lei è considerato il più europeo dei registi americani, sarà perché suo padre era di origine irlandese?

«Mio nonno è nato nel 1844 in Irlanda, mia madre è originaria della Louisiana, che ha un background francese. Io sono cresciuto in California: un perfetto incrocio di civiltà».

Giovanna Pastega

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