Jackie Chan: «Basta, non combatto più»

UDINE. Al Far East quest’anno si vuol dimostrare di saper fare le cose in grande. In primis, con l’inaugurazione sulle note del maestro Joe Hisaishi, salutato dal pubblico del Teatro Nuovo Giovanni da Udine con una standing ovation di più di dieci minuti e premiato dall’organizzazione con il Gelso d’Oro. «Qualunque premio mi venga conferito - ha dichiarato in conferenza stampa - lo accetto sempre molto volentieri, perché rappresenta un riconoscimento per il mio lavoro ed è quindi motivo di gioia. E il fatto che il gelso d'oro sia un premio italiano lo rende ancora più gradito». Ma in particolare per la presenza a Udine di Jackie Chan, giunto ieri ad accompagnare il film di apertura del festival “Dragon Blade” e letteralmente assediato dai fan.
Ma chi è oggi Jackie Chan? Lo stesso di un tempo? La risposta è no, naturalmente. Siamo di fronte a un uomo maturo, consapevole di un percorso che non rinnega, anche se si dichiara deciso a voltare pagina. «Non sono più giovane - ammette serenamente - e non riesco più a fare tutte quelle acrobazie nelle scene di combattimento. Voglio diventare un attore completo e non venire identificato solo con il kung fu». «Quando ero giovane - racconta - il risultato del film al botteghino contava molto perché senza buoni incassi non c'erano neppure gli ingaggi. Quindi per prima cosa veniva il risultato del film e solo dopo la qualità. Avevo bisogno di guadagnare per mantenere me stesso e la mia famiglia. Ma dopo aver raggiunto il successo, allora ho deciso che volevo assumermi delle responsabilità diverse. I film dove si vedono combattimenti sono quasi una garanzia di incasso, ma trasmettono un messaggio sbagliato. E oggi quindi ho invertito le mie priorità: quando decido di fare un film, per me è il messaggio che conta». Una responsabilità che Chan sente di essersi assunto anche nel suo ultimo film "Dragon Blade", presentato ieri in una sala gremita di pubblico. «Per realizzare "Dragon Blade" - racconta ancora Chan, abbiamo affrontato sette anni di lavorazione con il regista Daniel Lee. È un film che si fa portatore di un messaggio di armonia e di pace. Si tratta del film cinese con il più alto budget mai avuto a disposizione (60 milioni per realizzarlo), e anche questa è una responsabilità. Ma lo avrei fatto in ogni caso per la storia che racconta. Oggi non ho bisogno di soldi, ma di fare qualcosa di giusto, qualcosa per cui i miei nipoti possano sentirsi orgogliosi». Nel kolossal, un plotone di romani capitanati da Lucio, arriva in Cina per preparare l'invasione. Si scontreranno con gli uomini di Hou An, impegnati a difendere il confine. Fra rivali si instaurerà un clima di rispetto che li porterà a collaborare alla costruzione delle fortificazioni e poi a combattere Tiberius, che tenta di spodestare Lucio. «Niente guerrieri volanti in questo film - racconta ancora la leggenda delle arti marziali - abbiamo voluto trasmettere un senso di realtà. Non abbiamo usato effetti speciali o trucchi di nessun genere». Quindi le mirabolanti scene di azione che hanno caratterizzato e reso unico il cinema di Hong Kong sono destinate a sparire? «È probabile - risponde -. Siamo rimasti in pochi ormai a recitare quelle scene senza controfigure o elaborazioni grafiche. La gente vuole ancora vedermi combattere, ma io sono vecchio, mi sono rotto molte ossa nella mia carriera. Per me d'ora in avanti prevedo solo scene d'amore».
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