La città nascosta nelle calligrafie di Piero Porro
Domani allo spazio Trart l’inaugurazione della mostra “Ritualità laica per un dada classico”

«A chi voglia indovinare quali sorprese nasconda Trieste, consiglio caldamente di vedere la mostra dedicata alle invenzioni calligrafiche di Piero Porro, che si apre domani nello spazio Trart di Viale XX settembre 33, su iniziativa delle brave Federica Luser e Claudia Cervo. Il nostro Porro – ab origine Poropat, ultimo di dieci figli d'istrianissima stirpe – rappresenta ai miei occhi la possibile rinascita di un'arte a rischio di estinzione: la perizia rituale del gesto». Così dice Paolo Rumiz che firma una sua presentazione al catalogo della mostra “Ritualità laica per un dada classico. Opere di Pietro Porro”, che apre appunto domani, alle 18.30, nello spazio Trart di Viale XX Settembre 33, e resta visitabile fino al 25 novembre (orario: mart-sab 17.30-19.30 o su appuntamento, www.trart.it edizioni.trart@gmail.com, tel/fax 040775285).
«Scrittura e mestiere, gesto e ritualità, nonsense e bellezza sono i cardini attorno cui si muove la mostra dedicata alle opere di Pietro Porro», scrive Federica Luser nel catalogo, che pubblica contributi anche di Valerio Fiandra e Marcello Monaldi. «Carte raffinatissime - continua Luser - su cui l’artista improvvisa una scrittura per il proprio piacere, seguendo un disegno ideale e ben preciso a seconda dell’ispirazione; una calligrafia personale, non significante, se non nella forma che vuole creare». Qui la china nera si alterna al colore: i segni grafici diventano sulla carta trama, ritmo, movimento e sono ripetuti per un numero preciso di volte ad accontentare il gusto estetico dell’autore.
In ogni opera di Pietro Porro, nota ancora Federica Luser - c’è maestria, disciplina, estro poetico, amore per la bellezza e capacità di creare un'armonia tra traccia e colore. Armonia che ci permette di entrare in una dimensione diversa rispetto la realtà che conosciamo. Il liquefarsi dell’inchiostro nell'acqua trasforma quei segni calligrafici in sapienti pennellate pittoriche. Paesaggi mentali in cui non si può parlare di spazio e non si può definire un tempo» .
Concetti ripresi da Paolo Rumiz, per il quale tale perizia rituale del gesto vene portata da Porro «alla massima perfezione nella calligrafia, quando intinge il pennino nell'inchiostro a china e parte con le sue raffigurazioni alfabetiche, un alfabeto – destrorso e arabeggiante - che solo lui è in grado di interpretare«.
«In un tempo in cui la gestualità degli ominidi si riduce alla pressione dei pollici su una tastiera e la magia delle mani è sempre meno visibile nei mestieri (che nostalgia dell'armonico martellare dei fabbri ferrai sotto casa mia negli anni Cinquanta!), - aggiunge Rumiz - ogni suo movimento esprime una garbata protesta contro l'insana repressione della manualità, e ogni sua lettera tracciata con gesto rotondo senza richiederti l'esercizio temporale della lettura ma una pura, e istantanea, contemplazione estetica, sembra innalzare un argine contro la banalità e il volgare del mondo contemporaneo». Ancora, sottolinea Rumiz citando i propri libri, «solo un uomo così sorprendente poteva pensare di regalarmi, così con nonchalance, nientemeno che trentatré varianti calligrafiche della “Cotogna di Istanbul” e altre, acquarellate, del mio viaggio sul Po». «È davvero singolare - conclude lo scrittore - che questo artista anarchico e spesso beffardo, un po' contadino, un po' libraio e un po' falegname, incollocabile in precise categorie, acerrimo nemico di ogni ritualità e di ogni principio creativo “demiurgico”, e viceversa partigiano di una creatività libera e spirituale, evochi - attraverso il paziente esercizio calligrafico - la necessità di riportare un minimo di ordine nell'arte contemporanea».
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