La “Poesia dal futuro” è una società progressista radicata nel presente

la recensione
Lissa è un’isola strategica dell’Adriatico. Oltre a dare il nome alla battaglia navale ottocentesca tra la marina del Regno d’Italia e la marina da guerra dell’Impero austriaco, ad essere diventata il quartier generale dei partigiani jugoslavi che combattevano contro le potenze dell’Asse nella seconda guerra mondiale, e ad aver ospitato il set hollywoodiano del film “Mamma mia! Ci risiamo”, è il luogo da cui parte l’affascinante riflessione politica e sociale dell’Europa di oggi condotta dal filosofo croato Srećko Horvat. Proprio sull’isola dalmata nella primavera del 1944 venne realizzata una trasmissione radiofonica della Bbc da parte di un corrispondente dell’emittente britannica, l’irlandese Denis Johnston, in cui veniva raccontata l’eroica guerra di resistenza all’occupazione nazi-fascista condotta dalla popolazione locale. Quel primo suono dall’Europa occupata venne riscoperto nel ’75 da due giornalisti bosniaci e Horvat lo utilizza come episodio per aprire il suo appassionato saggio “Poesia dal futuro. Manifesto per un movimento di liberazione planetario” (Bompiani, pagg. 330, euro 16) tradotto da Daniele Didero. L’attivista croato che cinque anni fa ha fondato insieme a Yanis Varoufakis il movimento progressista paneuropeo Diem25 si domanda dove sia andata a finire oggi la democrazia dal momento che le grandi mobilitazioni del ventesimo secolo sono ormai solo un lontano ricordo da libro di scuola. La sensazione è quella di essere immersi in un periodo in cui il revisionismo storico riabilita pagine controverse del nostro passato mentre a imperare è il “presentismo”, il diluvio di notizie, vere e inventate, da cui siamo sommersi soprattutto grazie ai social network. L’esempio di Lissa, trasformatasi negli ultimi anni in un supermercato turistico in cui le spiagge vengono privatizzate e invase dai bagnanti di mezza Europa, illustra bene il processo dell’interminabile transizione dal comunismo al capitalismo. E allora come reagire? Srećko Horvat sostiene che sia necessario reinventare l’azione popolare tanto più che i segni di questa volontà esistono già in diverse parti del mondo, dal Cile a Hong Kong, dal movimento di Greta Thunberg alle Sardine nelle piazze italiane. Ma per produrre un cambiamento vero dobbiamo prima andare oltre il nostro modo di pensare, oltre le frontiere, le identità nazionali e i racconti del passato per creare un nuovo modo di vivere insieme. Le minacce che dovrebbero farci riflettere sono sotto i nostri occhi, a cominciare dalla Cina che sta prendendo il controllo dell’Europa attraverso investimenti mirati e con il più grande progetto infrastrutturale ed economico del ventunesimo secolo, la “nuova via della seta”. Horvat analizza anche quella sorta di malinconia da cui la maggior parte della sinistra europea sembra essere afflitta: tira in ballo Enzo Traverso secondo il quale questo sentimento altro non è se non una tendenza conservatrice, intesa anche come forma di resistenza contro la rinuncia e il tradimento. Certo il timore di ripiombare, anche nel nostro sistema di democrazie occidentali, in una sorta di totalitarismo più o meno esplicito non è infrequente e a sostenerlo viene citata la Marcia delle donne che nel 2017 negli Usa protestò nel giorno dell’inaugurazione della presidenza di Donald Trump con un monito legato a Margaret Atwood e al suo “Racconto dell’ancella”, romanzo distopico che denuncia la sottomissione della donna. Scrive Horvat: “Se vogliamo costruire un movimento transnazionale di liberazione per i nostri tempi, con un nuovo nome e un nuovo linguaggio, la nostra ispirazione deve venire dal futuro”. Ed ecco svelata cosa dovrebbe essere la poesia che arriva dal futuro: un’azione che porta alla creazione di una società radicata nel presente ma che guarda lucidamente avanti. —
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